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ID: 250573Nella storia dei videogiochi esistono saghe dalla durata ultradecennale: la mente ci ricorda subito Castlevania o Final Fantasy. Accade anche per i giochi sportivi e… no, signori, non stiamo parlando di Fifa o di qualche altra spettacolare serie firmata EA Sports... C'erano una volta (ma sono attivissimi ancora oggi) due giovani fratelli inglesi appassionati di calcio che in una nebbiosa giornata di inizio anni Novanta decisero di chiudersi in camera e dare forma al loro sogno di creare IL gioco manageriale di calcio per eccellenza. Uscirono dalla loro stanza nel 1992, con due dischetti per Amiga in mano, con la scritta "Championship Manager". Comiciarono a proporre il loro prodotto a qualche software house in giro per l'Inghilterra, ma non era facile convincerne qualcuna: Championship Manager è uno dei programmi esteticamente meno attraenti che la storia ricordi! Nel 1992 il meraviglioso popolo amighista era abituato veramente troppo bene e se un gioco non aveva almeno 4 o 5 strati di scrolling parallattico, sprite grandi mezzo schermo e musiche di tendenza, difficilmente veniva notato. Quindi chi poteva accogliere alla meglio i leggendari fratelli Collyer? La Domark!!! Una software house che mai come in quel periodo vantava alcuni tra i peggiori prodotti di tutto il software a 16 bit (a parte poche eccezioni) come Hydra, Thunderjaws o Spitting Image e che forse senza rendersene conto aveva acquistato i diritti commerciali di uno dei più influenti videogiochi sportivi della storia. Ma vediamo com'è andata...

Championship Manager è un gioco particolare così come la sua storia: le varie riviste del settore lo trattarono maluccio, qualcuna addirittura lo stroncò. Ma come può essere accaduto questo al capostipite di una serie così importante? Beh, diciamolo, Championship Manager non sapeva vendersi molto bene, si presentava con un fondale sempre identico dal primo all'ultimo minuto di gioco, l'unica cosa che cambiava erano delle finestre quadrate con delle scritte. La partita si svolgeva su una schermata (sempre con lo stesso fondale) su cui era possibile vedere il possesso palla e una limitatissima telecronaca. Punto. Il gioco era rappresentato da scritte su scritte, ma non era ancora questa la cosa peggiore: il programma macinava una mole gigantesca di dati, asfissiante per i 7 mhz dell'Amiga che ci metteva, nei casi peggiori, DECINE di minuti per calcolare le statistiche di una intera giornata di campionato. Shockante! Chiaramente, il recensore che doveva giudicarlo più in fretta possibile rimaneva sconvolto dalla sciattezza grafica (a proposito, il sonoro fu implementato solo nelle versioni successive) e dalla incredibile lentezza del tutto, tanto da non avere neanche il tempo di capire la filosofia di fondo e cioè simulare tutto ciò che è possibile simulare del mondo del calcio anche a costo di fondere il processore del computer. Baluardo della serie sono sempre stati, purtroppo, anche i bug: talvolta gravissimi, in alcune versioni diventava persino impossibile giocare dopo alcune stagioni. Per fortuna la carne al fuoco rimaneva tanta, decisamente troppa per non lasciare il segno e bisogna dare atto ai fratelli Collyer di aver sempre azzeccato l’interfaccia più adatta a gestire statistiche: pur rimanendo spaventosamente complessa, con tutte quelle scritte, la schermata di gioco ci permetteva sempre di gestire i numerosi parametri di gioco tramite pochi click, nascondendoci l’oceano di bit che affollavano il sistema e alla fine bastava capire il meccanismo per gestire la nostra formazione con totale leggerezza. Tutto quello che veniva dopo era creato dalla nostra immaginazione, requisito fondamentale per attraversare il portale rappresentato da quelle anonime scritte e per cominciare a intravedere azioni dalle poche parole visualizzate sul display, per iniziare a gustarsi un rapporto dal sapore così reale con i nostri giocatori, affezionandoci e arrabbiandoci per i loro infortuni e i loro problemi. Ed è stato così che, nonostante le deludenti vendite e la concorrenza di titoli molto più spettacolari come The Manager e Player Manager, questo nome cominciò a diventare popolare fra gli appassionati di calcio di mezza Europa, fra coloro i quali amavano impazzire tra statistiche su statistiche, alla ricerca di giovani talenti e di squadre da portare sul tetto d'Europa. Non tardarono ad arrivare quindi versioni differenziate del prodotto a seconda della piazza: i primi a goderne furono francesi e norvegesi, dopo un anno anche gli italiani, che si gustarono direttamente la seconda (e più evoluta) versione del gioco che comprendeva anche i nomi reali dei giocatori. La serie si espanse su altre piattaforme come Atari ST e l'assai più performante PC che divenne, ovviamente, la macchina più adatta per giocare a Championship Manager.
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Oggi il sogno continua ancora, su praticamente tutti i formati disponibili e anche se la grafica si è evoluta e il nome è cambiato in Football Manager (big dei giochi manageriali degli anni ’80) per motivi di copyright, il gioco continua tutt’oggi a mantenere il suo sapore duro e crudo, con la sua tormenta di statistiche mai così “umane”.

COMMENTO FINALE



"Di valore storico formidabile, il primo Championship Manager non è esattamente gratificante per il giocatore moderno. Lentissimo ed involuto, rappresenta pur sempre un’occasione allettante per approfondire la conoscenza sull’evoluzione del genere."

Gianluca"Musehead"Santillo





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