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ID: 253643L'amore è cieco, d'accordo. E prendersi una cotta sul posto di lavoro è un altro cliché, ma nel caso di Steve e della collega Emily bisognerebbe mettere da parte il nobile sentimento e parlare di sfiga, perché l'uomo si è inconsapevolmente invaghito di una persona posseduta da Zelloripus, un demone talmente fetente da venire esiliato sulla Terra dai suoi stessi simili. Non bastasse tutto questo, la vita per l'essere diabolico trascorre noiosamente e la malefica creatura decide di trastullarsi torturando l’ignaro malcapitato. Per farlo, crea delle pillole che gli consentono di penetrare nella mente di chi ha la sfortuna di ingerirle e le dona al povero Steve, ingannandolo che si tratti di semplici aspirine.
Il ragazzo le assume, e da allora la sua emicrania anziché passare aumenterà a dismisura, col demone a dilettarsi nella creazione di visioni sempre più deliranti. Tali inspiegabili incubi porteranno ad un drastico peggioramento della salute dell'uomo, fino a condurlo sul lettino di un ospedale per una rischiosissima e disperata operazione al cervello.
Ed è proprio durante l'anestesia che Steve, materializzatosi nel suo subconscio, potrà tentare di recuperare le pillole di Zelloripus e liberarsi una volta per tutte dalla sua nefasta influenza.

L'assurdo incipit di Weird Dreams è in realtà più profondo di quanto si immagini, essendo esplicato in un racconto di 60 e passa pagine incluso nella confezione. Ciononostante, tale resoconto, rigorosamente in inglese, aiuterà solo parzialmente a capire il perché di certe situazioni. E ciò non è imputabile all'idioma in cui è redatto, castrante per molti, quanto per l'assurdità che permea ogni singolo istante di gioco.
Per rendersene conto, basta semplicemente cominciare una partita. Dopo una schermata raffigurante l'operazione di Steve, con tanto di equipe medica ed encefalogramma, lo spiazzamento: il protagonista si ritrova in una enorme macchina per lo zucchero filato, attorniato da melensi batuffoli che girano vorticosamente (alcuni attaccandosi al suo vestiario, un classicissimo pigiama a scacchi) e una grossa stecca che si affretta a formare il dolciume. Pochi secondi e lo scontro con l'asta gli farà scoppiare la testa a mo' di palloncino, perdendo al contempo una delle vite a disposizione.
Si assiste nuovamente alla schermata dell'operazione, si ascolta ancora l'irritante “beep” dell'encefalogramma, ci si ritrova nel macchinario e si perde un'altra vita. E così via, si ripete l'iter sino all'esaurimento di tutte quelle a disposizione, senza rendersi conto di cosa si debba effettivamente fare. Ebbene, proprio in tale primo, brevissimo tentativo, c'è il succo dell'intera produzione.

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WD non è la rappresentazione di un semplice incubo, ma di uno indotto da un demone malvagio, ed in tale ottica gli sviluppatori hanno avuto carta bianca, andando ben oltre il semplice brutto sogno, sbizzarrendosi nell'ideazione di scene iconograficamente assurde, che messe insieme vanno a formare un titolo stilisticamente unico, l'apoteosi del grand guignol, dotato di un gusto del macabro – parimenti dello humor – raramente riscontrabili in altri prodotti ludici. Ed in tal senso, ne appare ovvia l'ardua catalogazione.
D'altronde, non potrebbe essere altrimenti, in un videogioco che contempla un deserto con pesci volanti da utilizzare come arma, un'adorabile ragazzina che si diletta con un pallone da calcio carnivoro, o una gigantesca ape da randellare previo colpi di anguilla. Probabilmente, il genere che meglio qualifica WD è quello del puzzle, visto che ogni situazione, pur presentando un controllo attivo del personaggio, contempla una data risoluzione, la classica chiave di volta racchiusa in una logica perversa. E tuttavia, anche intuendola non è assicurata la prosecuzione. Già. Non basterà capire cosa fare, il problema sarà metterlo in pratica ed allora bisognerà obbligatoriamente scendere a patti col pessimo rilevamento delle collisioni ed un sistema di controllo poco scattante e macchinoso, che porteranno la frustrazione a livelli di guardia.

Tuttavia, nel valutare WD in un'ottica più ampia, l’estrema difficoltà risulta funzionale, addirittura fisiologica. All'eclettismo di ogni livello fa da contraltare una quantità numerica degli stessi irrisoria e una durata effettiva ancor più risibile, e per mascherare una longevità altrimenti men che misera si è optato per un drastico innalzamento della sfida. A perplimere in tale scelta è l’impressione di aver reso una bizzarra – e disturbante – idea in una sorta di laser game, genere dignitosissimo, per carità, ma in questo caso qualcosa non torna: pur compiendo la mossa giusta al momento giusto, non è assicurata la prosecuzione.
Un esempio esplicativo è rappresentato dalla sezione in cui debellare un giardino di piante carnivore, brandendo un bastone. Ebbene, tale occasione evidenzia tutti i limiti sopra espressi, e i colpi richiesti, da eseguire con precisione chirurgica e tempismo assoluti, non appaiono alla portata di controlli così approssimativi: si affronterà incrociando le dita, sperando in una sorte benevola. Se fosse almeno possibile calibrare con calma la posizione, con un po' di pazienza se ne verrebbe a capo, ma un tagliaerba è pronto a triturare Steve in caso di eccessivi tentennamenti.
Quindi, non bastasse l'handicap di controlli e collisioni, spesso non si ha nemmeno la possibilità di ragionare o di agire nel modo corretto, perché determinate sezioni contemplano un dato limite entro cui superarle, previo l’ennesimo decesso.

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In tale stramberia di intenti, la tecnica passa quasi in secondo piano, tuttavia non si può negare una pazzoide e rivoltante realizzazione delle creature (perché il pollo allo spiedo mangiato la sera prima che ora cerca di fagocitare a sua volta il protagonista non può definirsi altrimenti) e un'animazione principale adeguata, benché un filo lenta.
Ma dal punto di vista artistico ad emergere è il talento di David Whittaker, con una manciata di musiche coerenti con lo spirito evidenziato: il main theme dei titoli, usato anche in game, è realmente inquietante, ma ancor più meritevoli sono quelle del luna park, con la classica musichetta circense volutamente dissonante, e quella che fa da sottofondo al citato stage con la bambina psicopatica, dall'incedere assurdamente allegro: sembrerebbe starci come i cavoli a merenda eppure, nel contesto, risulta geniale. Idem per la ripresa di un motivo dello schiaccianoci di Tchaikovsky, nel quadro in cui occorrerà superare con tempismo una ballerina obesa, a rendere seriosa una situazione paradossale.

La longevità è aleatoria: le innumerevoli morti l’aumenteranno a dismisura o la faranno drasticamente calare, causa abbandono onde preservare le proprie coronarie.
WD è un gioco d’altri tempi, i tempi in cui i possessori di home computer erano abituati, quasi assuefatti, a prodotti imperfetti a livello di testing. Risulta difficile per un giocatore moderno avvicinarsi al titolo Rainbird e comprenderne appieno il fascino, men che meno restarne rapiti sulla lunga distanza: la sua abnorme difficoltà, non solo contemplata da quello che è il normale andazzo, ma da evidenti difetti extra, porrà l'ovvia domanda del perché insistere, flagellarsi masochisticamente.
Eppure, WD resta fondamentale per chi ama i titoli visionari, anche se le gustose scene di cui si compone non verranno mai realmente assaporate dal giocatore, troppo preso dietro inflessibili dettami che richiedono una precisione ed un tempismo invidiabili, parimenti una dedizione incondizionata.

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Riuscire a finire WD equivarrà ad appuntarsi sul petto una medaglia conclamante la propria bravura. E forse tale encomio lenirà parzialmente la beffa di un ending atroce, di quelli che, dopo tanto sudore versato per agguantarlo, placano la soddisfazione per l'ambito ottenimento e fanno venir voglia di gettare dischetto, computer e monitor dalla finestra.
Eppure, a distanza di tempo, ancora si ricordano, riflettendo che, sì, forse tale bastardata è la conclusione migliore per un titolo coerente fino in fondo che, anche grazie al suo odioso finale, si insinua subdolamente nella mente e ivi rimane impresso per anni, trattando il giocatore alla stregua dell’ennesima sciagurata vittima del diabolico Zelloripus.

COMMENTO FINALE


“WD è l’infrangersi dei proclami di chi vede nel retrogaming un universo idilliaco, da riscoprire in base all’invitante motto “quando la grafica non era tutto, contava la giocabilità”. Balle. WD è l’antitesi del divertimento. E nonostante ci siano schiere di detrattori inviperiti dall'improba sfida che impedisce la piena fruizione di un prodotto concettualmente meritevole, gli va almeno riconosciuto di essere uno dei pochi titoli in grado di generare tangibile simbiosi tra protagonista (virtuale) e giocatore (reale): difatti, per entrambi è un autentico incubo.”

Giuseppe "Epikall" Di Lauro