Revolution Software, dopo aver posto le basi per le avventure grafiche presentando al mondo videoludico il loro motore “rivoluzionario” denominato Virtual Theatre, ritorna nel 1994 per conto della Virgin Interactive con un nuovo prodotto che prometteva di ampliare e migliorare ulteriormente questo teatro virtuale messo a nostra disposizione. Dopo Lure of the Temptress, quindi, arrivò sul mercato questo Beneath a Steel Sky, e fu subito amore nell’animo degli avventurieri dediti al punta e clicca.
Come dicevo, parliamo di avventura grafica, genere reso famoso al grande pubblico da produzione come Maniac Mansion, Monkey Island, Day of the Tentacle, ma il titolo Revolution prende le dovute distanze da questi per via di un approccio più serioso e meno scanzonato, pur non rinunciando ad un’ilarità ben incastrata.
Il Virtual Theatre creato dai Revolution Software è in grado di mostrare un mondo vivo e plausibile intorno a noi, che cresce, si muove e riflette, aldilà delle nostre azioni e delle scelte compiute per proseguire nel gioco. Il tutto funziona egregiamente bene, dando qualche piccolo grattacapo solo nei momenti in cui bisognerebbe parlare con qualche personaggio importante e questi non si trova poiché è in giro a fare chissà cosa (beh, ognuno nella propria vita può fare ciò che vuole, giusto?), costringendoci a un girovagare forzato nella speranza di incrociarlo, oppure portando il giocatore a fermarsi in un determinato posto per attendere il suo passaggio. Peculiarità che non oso neanche lontanamente definire errori, anzi, che ben evidenziano la vita virtuale che ogni singolo personaggio possiede all’interno del videogioco.
Beneath a Steel Sky fu creato contemporaneamente per PC-DOS e Amiga OCS-ECS, mostrandosi nella prima con una grafica a 256 colori in video e risoluzione 320x200, nella seconda i colori scendono a 32 ma la risoluzione si alza a 320x256. Stranamente, molti trovarono la versione Amiga leggermente più godibile a livello grafico, notando una pulizia maggiore, oltre ad un accostamento dei colori più esteso e delicato nelle sfumature. Ed è proprio a quest’ultima che facciamo riferimento in questa recensione, pur sottolineando che, a parte qualche cromatura differente, entrambe le versioni siano identiche per quanto riguarda la struttura generale.
Tutta la vicenda è ambientata in un ipotetico futuro pregno di disagi sociali, completamente governato dalla tecnologia e, pertanto, vittima della stessa. Noi vestiamo i panni di Robert Foster, a cui, senza un determinato perché, sono stati brutalmente uccisi moglie e abitanti del suo stesso villaggio. I soldati incaricati di tale scempio lo arrestano, portandolo via, fino a quando il cargo su cui è trasportato viene misteriosamente sabotato e fatto crollare, provocando un disastro alle porte della città. A questo punto Foster avrà tutto il tempo di darsela a gambe levate, scoprendo, ben presto, che il fuggir via non si rivelerà sufficiente per raggiungere la libertà, poiché l’ambiente in cui muoveremo i nostri passi si mostrerà come una vera e propria prigione legale dal nome di Union City. “La Città”, cosi volgarmente chiamata da chi la vive per meglio differenziarla da ciò che vi è fuori (la radura, luogo dove alloggia lo stesso Foster), è un posto costruito su tre piani sociali. Al terzo piano, l’ultimo, troveremo la plebe, gli operai e i cosiddetti D-Linc, etichetta atta a evidenziare lo stato infimo dell’umanità, quella che non ha diritto nemmeno al proprio pensiero. Scendendo al secondo, come ben si può immaginare, troveremo la media borghesia, con appartamenti di poliziotti e di proprietari di fabbriche, agenzie di viaggio e di polizze assicurative che lasciano il tempo che trovano. Al pian terreno ci sono i ricchi, gente che non fatica a disprezzare chi è meno fortunato e che non batte ciglio nemmeno dinanzi alla morte (altrui). I temi trattati in questo adventure game, come si evince, sono ben lontani da qualsiasi isola con scimmie, tracciando una narrazione fortemente cyberpunk, che tanto lontana dalla nostra realtà in fin dei conti non è. Traffici illeciti di organi umani, droghe e androidi creati in laboratori sotterranei, si miscelano per dar vita ad una storia pesante, fumosa, sporca, ma che non risulta mai fuori dalle righe. Come dicevo a inizio recensione, pur essendo costituito perlopiù da toni seri, Beneath a Steel Sky non si risparmia battute gratuite sulla vegetazione plastificata del futuro, su battibecchi tra uomo e robot, dove la macchina non fatica a farsi beffa del padrone, e su scene splatter prontamente sdrammatizzate con qualche trovata buffa e piacevole. Questo videogioco fa perno su sensazioni ibride, riuscendo a strapparci un sorriso due minuti dopo averci fatto tremare mano e mouse alla visione improvvisa di gente morta rinchiusa in armadietti. A dir poco micidiale.
Ho trovato, invece, fuori luogo alcune musiche in-game: stonate con l’ambiente circostante ed estremamente modaiole nel voler essere allegre ad ogni costo. Tutto il comparto sonoro, comunque, poteva essere ampiamente migliorabile, essendo talvolta ripetitivo seppur nella maggior parte dei casi faccia uso di forti synth atmosferici adatti alla situazione.
Graficamente invece siamo al top (o perlomeno vicino). Tutti gli ambienti di gioco sono opere minuziose del buon Dave Gibbons (Superman, Lanterna Verde, The Watchman) che in un secondo passaggio lascia tutto nelle mani di Les Pace (uno tra gli autori delle animazioni di “Chi Ha Incastrato Roger Rabbit”) che si preoccupò di scannerizzare e meglio adattare le vignette alle potenzialità delle rispettive macchine. Insomma, per la grafica si sono mossi due che del mestiere se ne intendono ampiamente, ed il risultato è tutto qui, sotto gli occhi di tutti, sotto un cielo d’acciaio che riesce a infrangere le barriere del nostro monitor, lasciandoci increduli dinanzi a tanta beltà, soprattutto se a muoversi è la versione Amiga OCS-ECS.
L’interfaccia grafica, croce e delizia di tutti i punta e clicca, è qualcosa di talmente semplice e intuitivo da lasciare commossi per la gioia. Niente icone sparse per lo schermo, niente verbi da associare a movimenti, in quest'avventura tutto è gestito dai soli due tasti del mouse. Con il tasto sinistro si punta sull’oggetto di cui si vuole l’informazione, con la pressione di quello destro si esegue l’azione voluta, punto! Veloce, snello, pratico e funzionale, questo tipo d’interfaccia andrebbe promosso a status di norma per tutte le avventure grafiche esistenti.
Note:
• In un secondo momento furono prodotte le versioni CD di questo videogioco, aggiungendo i dialoghi parlati per ogni personaggio, recitati anche egregiamente. Le versioni erano dedicate ai PC-Windows e all’Amiga CD32. Su quest’ultima macchina la cosa resta largamente trascurabile, poiché gli incessanti caricamenti, richiamati ad ogni piè sospinto, rallentano parecchio l’azione di gioco spezzandone il giusto fluire, facendoci ricadere sulla scelta di giocarlo attivando l’opzione “solo testo”. La grafica di questo adattamento CD32 non fa uso del chip set AGA, restando, difatti, quella già ottima descritta per Amiga standard.
• Sempre restando in tema versione Amiga CD32, quest’ultima contiene un fastidioso e orrendo bug che lo porta a bloccarsi spesso e volentieri. Sappiate che se decideste di tuffarvi nell’avventura di Foster attraverso la console Commodore, dovreste per forza di cose scendere a patti con questo bug che potrà spuntare in qualsiasi momento, senza essere in grado di porre rimedio alcuno. Brutta storia.
• Nella versione Amiga OCS-ECS i dischetti di gioco sono ben quindici, quindi, a patto di non voler diventare dei disc jockey intercambiandoli per tutta la durata dell’avventura, vi consiglio caldamente un bell’hard disk, o il WHDLoad se in possesso di Amiga espansi.
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