In inglese si chiamano “jawbreakers”, ossia spaccamascella: sono quelle classiche caramelle grosse e durissime, dai colori brillanti e dal sapore chimico, croce e delizia dei bambini grassi che se ne riempiono le guanciotte e le masticano avidamente col rischio, appunto, di devastarsi il cavo orale.
Il gioco in questione è ambientato nel paradiso dei piccoli golosi, una fabbrica di dolci, e le caramelle del titolo fanno la parte dei cattivi. O a ben vedere, dei fantasmi. Già, perché Jawbreaker è un emulo sfacciato di Pac-Man: al posto del mangiapalline giallo troviamo una mascella animata, mentre a fare le veci degli spettri ci sono tante sfere zuccherose con ghigno sorridente. L'unica variante significativa è il maze, che nel caso specifico non è esattamente un labirinto, ma piuttosto una semplice serie di corridoi orizzontali. Il nostro eroe dentato può passare da una corsia all'altra attraverso le aperture che si trovano alle estremità laterali oppure sfruttando i buchi presenti nelle pareti divisorie, che non sono fisse ma scorrono costantemente facendo scivolare a destra e a sinistra anche i rispettivi varchi. Lo scopo ultimo, anche qui, è ripulire lo schermo da tutte le barrette bianche, che vorrebbero rappresentare dei dolciumi.
Esattamente come nel classico Namco, saltuariamente al centro del maze compare un bonus, che tuttavia non rimpiazza la frutta di Pac-Man bensì funge da classico pillolone energetico: una volta mangiato, tutte le variopinte caramellone si tingono di rosso e diventano commestibili per qualche secondo, capovolgendo i ruoli di guardie e ladri.
Fatta pulizia generale, si assiste a una brevissima cut-scene in cui uno spazzolino dà una ripassata alla dentiera, dopodiché comincia il livello successivo, sostanzialmente identico se non per i nemici progressivamente più veloci.
Più bello che intelligente
I sosia di Pac-Man abbondano su VCS, ma Jawbreaker non si confonde nella massa, forte di una cura estetica che inizia già dalla cartuccia: plastica rossa, copertina adesiva a tinte accese, probabilmente la più bella di tutto il catalogo Atari 2600. Per fortuna il trend continua anche nel gioco, che sfodera colori nitidi e vivaci, e trova la massima espressione proprio nelle caramelle del titolo: le temibili spaccamascella ruotano su se stesse con una fluidità invidiabile, laddove solo qualche anno prima i pallidi fantasmini dell'orrido Pac-Man per VCS sfarfallavano penosamente.
Gli effetti sonori non fanno gridare al miracolo ma sono adeguati e creano nel complesso un discreto ritmo, ad accompagnare un gioco che vive di azione serrata e partite veloci. Proprio nella rapidità del gameplay sta la forza del titolo, ma anche la sua debolezza. Grazie a controlli semplici e fluidi, muovere il nostro personaggio dentato qua e là per lo schermo è intuitivo e divertente, ma passato l'iniziale entusiasmo ci si accorge che manca qualcosa: la strategia. Ogni appassionato di maze-games sa che Pac-Man non è una serie di fughe ed inseguimenti ignoranti: è piuttosto un meccanismo complesso, in cui il giocatore è chiamato a capire e sfruttare i pattern di movimento dei nemici (ognuno diverso), le scappatoie offerte dal labirinto (come le intersezioni a T in cui i fantasmini non possono salire verticalmente), e molto altro ancora. Tutto questo rende Pac-Man insospettabilmente profondo, vario, e permette a chi abbia pazienza e talento di percorrere una curva di apprendimento e difficoltà potenzialmente lunghissima, fino alle maratone di ore ed ore, fino al punteggio perfetto di Billy Mitchell e altri simili mostri. Tutto questo ha consegnato la leggenda Namco all'immortalità. Tutto questo, purtroppo, a Jawbreaker manca.
Non escludo che parte del problema stia nella mia incapacità, ma è opinione abbastanza diffusa che il titolo Tigervision non premi un approccio particolarmente tattico. Può essere utile a sviluppare un abbozzo di strategia la considerazione che non ci sono mai più di quattro nemici a schermo, ma è davvero troppo poco per costruire un metodo efficace. Dopo un certo numero di stage, i malvagi caramelloni diventano semplicemente troppo veloci, e le vite si esauriscono in fretta.
Jawbreaker rimane un buon gioco, tecnicamente validissimo, ma Pac-Man e i suoi eredi migliori appartengono a un'altra categoria.
Le altre versioni
Il primo gioco a portare il nome di Jawbreaker uscì nel 1981 per Atari 800 e Apple II ed era una copia ancora più spudorata di Pac-Man: nel primo caso il labirinto era persino esattamente ricalcato su quello dell'originale Namco, con l'unica, quasi beffarda accortezza di essere ruotato di 90 gradi. Come conversione non autorizzata, il titolo era comunque eccellente e riscosse un buon successo: si decise così di continuare a sfruttarne il nome ma, per non indulgere in ulteriori provocazioni in tema di copyright, si preferì variare il gameplay quel poco che bastava per evitare azioni legali. Ecco come si arrivò alla ricetta della versione VCS, utilizzata con piccole modifiche anche nelle controparti per VIC-20 e Commodore 64. L'onda della nuova formula tornò anche al punto di partenza, su Apple II e Atari 800, dove la variante a corridoi orizzontali arrivò sotto forma di sequel: Jawbreaker II.