Storia di un ragazzo prodigio, anzi due. Il primo, tale Rob Fulop, aveva solo 23 anni quando lasciò Atari dopo avere messo le mani, tra gli altri, su Missile Command e Night Driver per VCS, oltre alla conversione di Space Invaders per computer 8 bit. Abbandonata la casa madre, Fulop fu tra i fondatori di Imagic, che seguendo il solco tracciato da Activision tentò la strada della produzione ludica come third party company. Fra i titoli d'esordio figurava Demon Attack, fixed shooter confezionato dallo stesso Fulop e suddiviso in 84 livelli, o letteralmente waves, “ondate” (di nemici), di difficoltà crescente. “Inutile proseguire oltre: tanto”, pensava serenamente Rob, “è impossibile che qualcuno si spinga fino alla wave 84”. Ma qui entra in scena il secondo ragazzo prodigio: si racconta infatti che un talentuoso pischello, di cui la Storia non ha avuto la grazia di tramandare il nome, sia riuscito nell'impresa dopo solo due giorni dall'uscita ufficiale del gioco. Questo costrinse Fulop a tornare al lavoro per modificare una linea di codice, facendo sì che nelle cartucce prodotte successivamente, la partita potesse continuare anche dopo la fatidica wave 84, pur senza aumentare in difficoltà dopo quello sbarramento.
Una corsa precipitosa, la necessità imprevista di mettere una pezza ad un palese errore di valutazione: poteva sembrare l'anticamera di un fallimento. Fu il preludio di un successo colossale.
Il piccolo mago del joystick che aveva sconquassato le aspettative di Rob era l'araldo di un esercito di ragazzini letteralmente esaltati da Demon Attack, che con la strabiliante cifra di oltre due milioni di pezzi venduti segnò un record destinato a rimanere imbattuto per Imagic, risultando addirittura il quarto best seller assoluto per Atari 2600.
Parlare di Demon Attack significa indirettamente analizzare le ragioni di un simile tripudio di consensi: dietro i pixel colorati del classico Imagic si nasconde la chiave per decifrare almeno in parte le preferenze dei videogiocatori anni '80, o comunque dei possessori di VCS. Più ancora, soppesare sulla bilancia del Tempo un gioco di successo insieme con i suoi diretti concorrenti dello stesso periodo, è un utile test per verificare se e quanto la scala di valori del ragazzino che viveva l'Atari 2600 come strumento ludico contemporaneo sia rimasta inalterata nel retrogamer nostalgico dell'anno 2015. Risultato tutt'altro che scontato, ed il caso di Demon Attack è a dir poco esemplare.
Quando Imagic ne faceva ti tutti i colori
Cominciamo dalle basi: fixed shooter, s'è detto, e su Atari 2600 questo significa quasi sempre sfondo uniforme nero e base colorata in basso. Demon Attack non fa eccezione e sopra una banda blu colloca un'astronavina insolitamente spartana per i canoni estetici Imagic, ma a suo modo elegante: due semplici propaggini alari viola sono congiunte da una sottile striscia bianca che altro non è che il “colpo in canna”, ossia lo sparo del nostro mezzo. Una volta espulso, la navicella si trova momentaneamente “spezzata”, sinché non ricompare un altro proiettile a sostituire il primo, ma solo dopo che questo abbia colpito un bersaglio o sia uscito dallo schermo, in linea con la regola classica degli epigoni di Space Invaders che vuole un solo sparo per volta a video.
Ma i veri protagonisti del gioco, ed i responsabili forse principali del suo successo, sono loro: i nemici! Demon Attack inaugura uno di quei tratti caratteristici che segneranno felicemente tutta l'epopea Imagic, ossia l'abitudine di popolare i propri titoli con un bestiario assortito e variopinto di creature. A fronte delle sei tipologie monocolore di alieni di Space Invaders, dopo le due specie di nemici alternati su due colori ciascuna per Phoenix, Demon Attack stupiva il giocatore con una tale varietà morfologica e cromatica da non permettere neppure di capire quanti tipi di mostri si alternassero su schermo stage dopo stage.
L'obbiettivo era astutamente realizzato con abile gioco di combinazioni, come spiegherà più tardi lo stesso Fulop: le “forme” di mostri erano in totale 7, ma colorate in 8 modi diversi, per un totale di 56 tipologie complessive.
Ad accrescere la portata scenografica delle nemesi alate contribuisce la loro caratteristica entrata: ogni nemico si origina dall'unione di due metà che schizzano dai lati opposti dello schermo con suono aggressivo.
A questo proposito, detto che gli altri effetti rientrano né più né meno nella norma, merita una nota speciale il sottofondo costante che accompagna tutta la partita. In tempi in cui l'idea di un vero accompagnamento musicale era ancora avveniristica, il mai troppo lodato capostipite – Space Invaders – aveva inaugurato l'uso di scandire il tempo con un ritmo sonoro calibrato sulla velocità dell'azione. In mancanza di soundtrack, sopperiva il cosiddetto heartbeat: il “polso” del gioco, il battito del suo “cuore”. E dunque, in Space Invaders l'eliminazione progressiva dei nemici determinava un incremento di velocità in quelli rimasti, via via più rapidi e letali, così come parallelamente si faceva più frequente e pressante il beep intermittente, come un cuore sotto sforzo, a suggerire tensione ed urgenza.
In Demon Attack, viceversa, la cadenza rimane sempre uguale a se stessa, ed il suono si fa solo lievemente più acuto a seguito della distruzione dei mostri, ma senza mai incrementare in frequenza. I nemici si muovono a velocità costante, con movimento oscillatorio a destra e a sinistra, quasi a pendolo, ed il ritmo dell'azione, pur sostenuto, è inalterato, regolare, ai limiti dell'alienazione.
Ogni stage si svolge secondo le seguenti modalità: entrano in scena i primi tre avversari, che si posizionano uno alla volta a tre altezze differenti; a fare fuoco è sempre e solo il mostro a quota più bassa. Quando uno dei demoni viene colpito, si distrugge ed il suo posto viene preso all'istante da un altro invasore. Dalla quinta wave in poi, il gioco ci stupisce con la sua trovata più distintiva e controversa: quando viene colpito, ogni alieno si suddivide in due entità più piccole, che continuano a volare secondo il consueto pattern ad altalena; se ad essere colpito è l'invasore in quel momento “incaricato” di spararci, l'opera offensiva sarà continuata da uno dei suoi due piccoli “figlioli”; ogni volta in cui una delle creature formato mini viene distrutta, la sua “gemella” vola nel solito moto ondulatorio avvicinandosi però sempre più al terreno: il demone kamikaze può quindi essere disintegrato con un colpo preciso, sparire attraverso il terreno senza far danni (ma anche senza fruttare punti, ed i nemici in caduta libera sono quelli che ripagano di più in termini di score) o schiantarsi contro la nostra navicella.
Ogni livello presenta uno squadrone di otto mostri, i quali si differenziano per lo più dal punto di vista estetico, con un paio di gradevoli eccezioni: gli alieni alternano un tipo di sparo “a grappolo” ad uno “a raggi”, ed inoltre alcuni di loro hanno un caratteristico meccanismo corporeo di contrazione e riespansione che li rende lievemente più evasivi.
Si tratta comunque di variazioni ben minime sul tema, che rimane a maggior ragione senza soluzione di continuità per il lasso di tempo limitatissimo che intercorre tra l'eliminazione della propria navetta e la sua ricomparsa a video, oltre che fra la conclusione di uno stage e l'inizio del successivo. Demon Attack è un flusso costante e ipnotico, la celebrazione pura e semplice della coordinazione occhio-mano, senza sussulti né concessioni all'uso del cervello che vadano oltre lo sforzo di tenere gli occhi sbarrati sullo schermo. Vocazione estremizzata peraltro dalla difficoltà non eccessiva e soprattutto dalla generosità nell'elargizione di vite (una in omaggio per ogni wave superata senza essere colpiti, fino ad una riserva massima di 6): Demon Attack è titolo da lunghe maratone, ed il giocatore appena sopra la media dovrà settare lo switch in posizione A, come “Aggressive Action”, per ottenere una sfida valida.
La memoria passa in rassegna sparatutto ben più complessi, vari e profondi disponibili per Atari 2600, come Phoenix, Gorf, Beamrider ed altri, eppure il successo di Demon Attack è stato inarrivabile, e persino “certificato” dalla rivista Electronic Games Magazine con il premio di “Game of the Year” per il 1982 (proprio in barba a Phoenix, rilasciato lo stesso anno). Pare di capire che quando il genere del fixed shooter godeva di ottima salute, i favori degli utenti VCS siano stati attratti dal gioco che più di tutti offriva dinamiche semplici da apprendere ed eseguire, lasciando spazio alla fantasia solo sul versante estetico. Una partita a Demon Attack era una scorpacciata di mostri sempre diversi da colpire, una lunga fiera di nemici da disintegrare a cervello spento, un divertimento casalingo spensierato e colorato.
E la varietà che mancava nella singola partita, la si poteva trovare nella grande scelta di opzioni, in cui Imagic si è sbizzarrita in modo pregevole: oltre agli switch che regolano l'intensità degli attacchi nemici (B per “Basic Bombardment”, A per “Aggressive Action”), troviamo la classica alternativa tra la difficoltà di base e quella “Advanced” (dove in sostanza si comincia dalla wave numero 13), e quella fra gli spari comuni ed i cosiddetti “Tracer shots”, la cui traiettoria è guidabile attraverso il movimento dello stick secondo una soluzione non rara per l'Atari 2600 (lo stesso sistema si trova in River Raid per Activision). Lodevole anche l'originalità nelle opzioni per le partite a due giocatori, che oltre alla classica modalità da uno stage a testa, possono provare una furibonda sfida in cui il controllo della navicella (e con esso, il suo colore) si alterna ogni 4 secondi, con il rischio e forse anche la tentazione di posizionarla in situazione di pericolo giusto un istante prima che la patata bollente passi di mano.
Non ci siamo già visti da qualche parte?
L'idea dei nemici che si dividono in due una volta colpiti, non era esattamente farina del sacco Imagic. Anche se Rob Fulop ha sempre citato Galaxian come principale modello di ispirazione per Demon Attack, non fu difficile scorgere da subito un chiaro plagio di Phoenix, coin-op del 1980 felicemente convertito proprio da Atari per il piccolo 2600. Ogni dubbio venne definitivamente spazzato via con le successive conversioni del titolo: mentre alcune, come quella per VIC-20, si limitavano ad adattare pari pari l'edizione VCS, altrove Imagic si fece prendere la mano, con l'effetto che nel Demon Attack per Intellivision campeggiava una splendida nave madre ad abbellire l'ultimo stage, esattamente come in Phoenix. L'imitazione era così sfacciata che Atari decise di adire le vie legali; fortunatamente, le due parti trovarono un accordo economico e il ritiro di Demon Attack dagli scaffali dei negozi fu scongiurato.
Demon Attack - Atari VCS
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- Pubblicato: 26-03-2015, 20:00
- 4 commenti
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Demon Attack
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Bellissima recensione! Questo è un genere che ho frequentato veramente pochissimo, visto che alla fin fine ho giocato solo a Space Invaders (in sala giochi e su Atari 800XL) e all'arcade-only Return of The Invaders
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Il successo commerciale dei giochi raramente coincide con la loro innovatività o profondità del gameplay nè tantomeno con la difficoltà visto che le sfide videoludiche impegnative sono sempre state (oggi più che in passato, peraltro) qualcosa di elitario in termini strettamente numerici. Insomma, Ikaruga era un gran gioco ma quanti sono stati in grado di giocarci? D'altra parte i Souls stanno avendo parecchio successo (e Bloodborne viene addirittura pubblicizzato da Sony come system seller con una campagna pubblicitaria che cerca di penetrare anche nelle grandi masse) ma in genere un gioco difficile e dal gameplay profondo spaventa più che attrarre, mentre un gioco in grado di appagare senza richiedere grossi sforzi e puntando su altri fattori miscelando magari in maniera ben dosata ingredienti già visti altrove (che è anche un merito, per carità) è quello che alla fine viene recepito e accolto meglio dalla maggior parte delle persone. E questo Demon attack sembra confermare ciò. Comunque, non ho mai avuto il piacere di provarlo sul mio Atari 2600 da piccolo: di giochi simili ho giocato solo l'immancabile Space invaders, riguardo al quale ho bei ricordi collegati a una mattina in cui ero malato (o forse mi diedi per malato apposta per saltare la scuola elementare ) e passai la giornata a letto a giocarci Complimenti per l'interessante ed esauriente recensione che mi induce a recuperarlo, prima o poi, su emulatore
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Un titolo iconico ed indimenticabile, ottimamente analizzato dall'interessante articolo! Imagic è la seconda software house a cercare di realizzare qualcosa di grande in modo indipendente da Atari. Quella stessa Atari che, così diversa dalle origini, la gestione Warner aveva trasformato in società meramente commerciale. Assolutamente da riscoprire per chi non lo conosce.
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