E' la legge del pixel, bellezza. Non farti tante domande, dai gas e vedi di passare al largo dalle altre vetture, perché se appena le tamponi piano, se sfiori giusto uno specchietto, mica danneggi la tua monoposto, mica rallenti, no: esplodi. Pole Position è autentico spartiacque nella storia dei racing-games: visuale esterna come in “Turbo” (1981) ma più bassa, appena dietro la macchina, grandissima velocità e, soprattutto, una sensazione di coinvolgimento fino ad allora inedita. Certo in sala giochi, con i mezzi tecnici di un coin-op corredato di volante, marce e pedaliera, era più facile trasmettere emozioni e adrenalina.
Compito difficile quindi, quello capitato a tale Doug Macare: riadattare il classico Namco per riuscire a infilarlo in una cartuccia per Atari 2600, badando che nell’arduo travaso non si perdesse per strada la carica potente dell’originale, la sua splendida tensione dinamica e immersiva. Bravo Doug: missione compiuta.
“Asfalto che ride”
In Pole Position la bandiera a scacchi sventola prima ancora di partire: è bianca e blu, e fa da sfondo alla bella schermata introduttiva con scritte in caratteri rossi. Alla prima pressione di un tasto la scena cambia e ci porta direttamente in pista, sulle note di un breve motivo squillante.
Il circuito del Fuji, l’unico disponibile, ci accoglie con un colpo d’occhio che farebbe la felicità dell’indimenticato Carcarlo Pravettoni, noto cantore del bitume stradale: la pista è d’asfalto, ma l’esterno... pure. Bisogna sempre fare i conti con i mezzi a disposizione, e tingere di due colori differenti la superficie non era proprio possibile: del resto, anche gli altri racing-games per VCS con la medesima visuale obbediranno alla stessa inflessibile regola. Vengono rimossi pure i vari cartelli stradali che nel cabinato erano posti ai lati del tracciato, pronti a ghermire chi avesse la disgrazia di toccarli, ma utili anche ad accentuare l’illusione di velocità nel giocatore che se li vedeva sfilare di gran carriera dietro di sé.
Sul VCS, la sensazione di sfrecciare a tutta birra ci viene restituita principalmente dai cordoli, che si fanno quantomai “frastagliati” in curva ma servono perfettamente allo scopo, con le loro bande alternate rosse e bianche in scorrimento rapido. In più, sopra la linea dell’orizzonte si può ammirare un sobrio ma piacevole sfondo montano con tanto di vezzosa nuvoletta, cartolina naturalistica che si sposta specularmente alle nostre sterzate in misura esagerata quanto suggestiva: affrontare una curva appena parabolica è sufficiente per vedere scorrere davanti ai nostri occhi l’equivalente geologico della catena degli Urali. Naturalmente, sono sempre le stesse quattro montagne in loop, ma l’effetto è più che congruo soprattutto considerando che l’attenzione del giocatore si concentra più in basso sullo schermo.
Ed è lì che troviamo la nostra automobile: come da migliore tradizione videoludica, è la classica “macchinina rossa”. Squadrata come poche, ma a differenza delle vetture protagoniste di altri classici per VCS, come Enduro e Night Driver, questa almeno non è monocromatica e sfoggia anche un minimo di rotazione sul proprio asse in curva, non limitandosi a spostarsi lateralmente.
Le monoposto degli avversari, invece, sono semplicemente immonde: accrocchi di pixel di un giallo uniforme, hanno un livello di dettaglio che le fa a stento riconoscere come autoveicoli. Poco male comunque, il cruccio principale del programmatore era la funzionalità e questa è stata preservata: lo scaling è più che adeguato, e lo spostamento delle vetture, sul quale tornerò più avanti, è reso egregiamente.
Il sonoro, tolto il jingle iniziale, è dominato essenzialmente del rumore del motore, potente e al tempo stesso acuto come si conviene a una Formula 1. Da notare poi l’effetto sdrucciolo delle sgommate e l’eco del motore degli avversari che si può udire in fase di sorpasso, decisamente una bella trovata.
Quando si dice il fair-play
Ma come si svolge essenzialmente una partita a Pole Position? Bhé, innanzitutto ci sono le qualifiche: niente settaggi e niente opzioni, anzi neppure la possibilità di una partenza lanciata, il giro di prova è uno soltanto, secco. In base al tempo finale, viene deciso il piazzamento sullo schieramento di partenza, fermo restando che, come anticipato, ci sarà da destreggiarsi da subito in sorpassi anche nel caso della pole position, che necessita di un tempo di qualificazione inferiore a 58,5 secondi, comunque abbordabilissimo.
Già dalle prove vengono assegnati dei punti, dai 14000 per la pole a scalare per scaglioni di tempo, e così pure durante la gara, composta da quattro giri, il punteggio si incrementerà in base alla distanza percorsa. Al traguardo, poi, allo score verranno cumulati ulteriori punti in base ai giri percorsi, al tempo complessivo ed agli avversari superati. Del resto in Pole Position non c’è piazzamento finale, l’obiettivo è quello di portare a termine la gara rispettando i classici checkpoint a tempo, e la cifra della prestazione viene data proprio dallo score totale.
I comandi sono basilari ed originali al tempo stesso: salvo l’irrinunciabile destra-sinistra per curvare, non c’è alcun bisogno di accelerare in quanto la vettura lo fa da sé, automaticamente, mentre il tasto è deputato all’utilizzo del freno. Le direzioni alto e basso invece sono usate per cambiare marcia, da low a high e viceversa.
Ma non sono tanto i controlli a rendere speciale Pole Position, quanto il comportamento della macchina in sé. Tanto per cominciare, troviamo un buon abbozzo di forza centrifuga. è utile a questo proposito un confronto con Enduro, il diretto concorrente di Pole Position su VCS: là, lunghe curve tutte di uguale raggio e auto che si sposta lemme lemme verso l’esterno; qui, curve diverse tra loro, più o meno strette, e vettura che ne subisce maggiore o minore spinta contraria, con effetto di sbandamento quando si sia costretti a correggere troppo. Pole Position è una generazione avanti.
E lo dimostra soprattutto nella condotta degli avversari. Nel giro di prova, ne incrociamo qualcuno intento a percorrere la propria strada lungo una propria linea ben precisa e prevedibile, nulla di troppo molesto. In gara invece, i nostri antagonisti gettano la maschera e si rivelano per quello che sono: gran figli di buona donna. Scordatevi i classici giochini corsistici in cui si muove il proprio sprite a fondo schermo per evitare altre vetture che scendono dall’alto come fossero ostacoli fissi trasportati da un tapis-roulant, dal momento che percorrono una linea sempre perfettamente parallela all’inclinazione della strada. In Pole Position gli infami concorrenti sembrano abbastanza disinteressati alla propria gara e viceversa parecchio desiderosi di arrecarci danno, preferibilmente facendoci collidere con il loro posteriore. Capita così che cambino di corsia, ma non tutti, non sempre: si avrà regolarmente il dubbio che il successivo pilota da sorpassare se ne stia tranquillo sulla propria linea, oppure attraversi la pista proprio mentre passiamo di lì, o addirittura (specie negli ultimi giri) si produca in una doppia sterzata da bandiera nera immediata.
Ma non ci sono squalifiche qui, non ci sono regole, c’è invece una competizione che con la giusta cattiveria tiene costantemente il giocatore in tensione, intento ad evitare il minimo contatto con uno di questi scellerati al volante, ben conscio che solo un pixel separa il sorpasso più epico dalla deflagrazione istantanea, con relativa ed ingente perdita di tempo nell’attesa che il nostro mezzo ricompaia come per magia.
E avverrà spesso di gettarsi anche fuori pista per trovare la salvezza all’ultimo istante, ma il fondo uniforme grigio non deve ingannare, perché l’esterno avrà pure il colore dell’asfalto ma non lo è, e ci rallenta. Ci si dimentica, in cotanta sfida, che per venire incontro ai limiti del VCS non compare mai più di un avversario per volta: quel che non può il numero, lo fa l’imprevedibilità.
Pole Position non è un destra-e-sinistra da riflessi puri, o almeno non solo, perché ci fa assaporare il piacere della guida, pur nella sua declinazione più spartana, basica, arcade. La sensazione di velocità è rimasta intatta ed anzi questa conversione VCS se ne fa vera e propria portabandiera, a partire dalla macchina che accelera da sé, con la pista che scorre supersonica sotto le nostre ruote e chiede, anzi pretende, di essere percorsa a manetta, perché con la giusta traiettoria si può mangiare la strada a gas spianato dall’inizio alla fine: scalare marcia in Pole Position è peccato grave; frenare, poi, è atto contronatura.
Conosco titoli automobilistici più impegnativi, certo, ma quasi nessuno sa tenermi sulla corda quanto questo, e anche se un’intera partita non dura che qualche minuto, credetemi: arrivare alla fine senza fare incidenti e con uno score decente, diciamo sopra i 60mila, è una fatica non da poco. A questo proposito, anche se non registra alcun piazzamento, il gioco offre nel punteggio una misura ideale dell’Eccellenza: sta a 60910 punti, l’equivalente una gara pulita con 58 sorpassi, e se lo raggiungerete vi troverete in buona compagnia fra Todd Rogers e altri virtuosi che hanno toccato quella soglia. Per il record mondiale, invece, dovrete industriarvi a scendere sotto i 212 secondi oppure superare almeno una macchina in più: ad oggi ci è riuscito solo Frankie Cardulla, con il suo mostruoso score di 60960.
Curiosità
- Le stesse montagne che fanno da sfondo a Pole Position sono state utilizzate, con colorazione differente, anche per il background di Battlezone, titolo Atari dello stesso anno.
- Sono in circolazione due versioni “alternative” del gioco con altrettanti refusi nel nome impresso sull’adesivo superiore della cartuccia: una, con dicitura “Pole Positn*”, è tutt’altro che rara; l’altra, “Ploe Position”, è pressoché introvabile.
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