Personalmente trovo che l’esempio più alto di questa attitudine sia da ricercare dalle parti di Battlezone: Atari ha fatto un buon lavoro convertendolo per VCS, ma Alan Miller di Activision ha sublimato l’ispirazione originale in una perla sorprendente, Robot Tank, semplicemente di un’altra categoria.
Appuntamento fra sei anni
La premessa è tanto futuristica quanto utile a sgravare la coscienza del giocatore, il quale sa che potrà dare sfogo all’umana passione di sparare a tutto ciò che si muove senza versare una goccia di sangue.
Nell’anno di grazia 2019, infatti, le difese della Nazione sono completamente gestite tramite controllo remoto, ed i confini sono pattugliati da carri armati senza pilota comandati a distanza. Per motivi ignoti, tuttavia, una divisione di questi tank robotici “impazzisce”, smette di obbedire agli ordini del Computer Centrale e si dirige verso la città di Santa Clara seminando distruzione e morte. A noi il compito di fermarne l’avanzata.
Un preambolo funzionale ad apparecchiare l’ambiente secondo le linee guida di Battlezone: un cingolato ai propri ordini, libertà di manovra in ogni direzione e di blastaggio selvaggio all’interno di uno spazio aperto infestato da mezzi corazzati ostili.
La visuale è quella mutuata dall’originale da sala, ossia all’interno dell’abitacolo, diversamente dal Battlezone per VCS che optava per una prospettiva esterna. La scelta è anche dettata da una precisa impostazione del gameplay, che si differenzia però da Battlezone per abbracciare un approccio tipico dei first person space-shooter classici: gli spari nemici ci colpiranno se concluderanno la propria corsa sullo schermo, mentre ruotare il tank in modo da escluderli dalla visuale prima che sia troppo tardi sarà sufficiente per non essere toccati.
Una variazione non da poco, ma pienamente condivisibile: innanzitutto perché rende più “equa” la competizione con i nemici, e in secondo luogo perché evita di riproporre lo stesso fatale errore del Battlezone casalingo il quale, non fornendo gli utili ripari tattici presenti nel coin-op, espone il giocatore alla frustrazione di essere colpito alle spalle con una frequenza che si fa irritante già dopo un paio di minuti, specie dopo che compaiono sullo schermo i temibili carri armati gialli, più veloci.
In Robot Tank, al contrario, gli avversari si manifestano uno alla volta e sono di un’unica tipologia, anche se si fanno via via più letali: quando riusciremo ad eliminarne dodici (basterà un colpo per ciascuno), una schermata d’intermezzo certificherà che abbiamo abbattuto un intero “squadrone” e ci omaggerà di una vita di riserva, dopodiché torneremo all’azione contro panzer sempre più veloci e aggressivi.
Dunque una sola varietà di antagonisti e mai più di uno su schermo: se cominciate a pensare che sia l’anticamera della noia vi sbagliate di grosso, perché Alan Miller ha saputo mischiare le carte con un paio di trovate davvero vincenti.
Giorni contati
Tanto per cominciare, la nostra impresa è scandita dal Tempo. La missione è divisa in giorni, il cui computo è indicato nella parte alta dello schermo insieme all’orario in corso. Nelle fasi notturne la visibilità si riduce a zero, e in questo frangente diventa cruciale l’utilizzo del radar, posto sotto la finestra di gioco, per determinare la posizione del nemico.
Dal momento che i tank avversari non possono sorprenderci alle spalle, il manuale arriva a suggerirci la tattica di “fuggire” durante la notte, per affrontare la tenzone al ritorno della luce, ma è una vigliaccata che non contribuisce al divertimento, tanto più che il radar è di una precisione certosina e i duelli notturni non sono meno appassionanti di quelli sotto il sole.
In più, le condizioni meteorologiche possono cambiare, anticipate da apposite schermate di avvertimento, passando dalla normalità a circostanze più avverse: pioggia, che limita la mobilità del nostro mezzo; neve, di gran lunga la variante più ardua, dato che oltre ad ostacolare ancor più i movimenti del tank lo rende ulteriormente ingovernabile per il fondo sdrucciolevole; e nebbia, che disturba naturalmente la visibilità ed è resa in modo davvero suggestivo.
Ma c’è anche un’altra peculiarità, e pure in questo caso l’ispirazione sembra provenire dai first person space-shooter (Starmaster, tanto per citarne uno griffato Activision). Diversamente dal carro armato di Battlezone, quello di Robot Tank non soccombe necessariamente al primo colpo subito, dandosi anche la possibilità che il missile nemico, invece di distruggerlo, lo danneggi. Quattro riquadri indicano lo stato di salute del nostro mezzo, lampeggiando per segnalarne i guasti:
Video (V): chiaramente è l’indicatore della visibilità. In caso di danno, la finestra di fuoco si oscura regolarmente per pochi istanti.
Cannoni (C): quando l’indicatore lampeggia, la torretta può fare fuoco ad una frequenza inferiore rispetto al normale.
Radar (R): inutile dire che la sua eventuale mancanza si sente particolarmente nel corso delle ore notturne.
Cingoli (T): ritrovarseli a mezzo servizio significa muoversi a fatica. Se poi si è in condizioni nevose, il carro si fa quasi inamovibile e la morte pressoché certa.
Da notare che a seconda dei casi, il nostro tank può cedere al primo colpo, oppure resistere a un fuoco di fila accumulando via via danni su danni: un tocco di imprevedibilità che non guasta affatto.
Cattivo ma onesto
L’esperienza di molti titoli per Atari 2600 insegna che anche le migliori idee possono essere mortificate da una realizzazione scarsa: per fortuna non è questo il caso di Robot Tank, per il quale Activision ha speso una cura encomiabile.
Dal punto di vista estetico, merita un plauso la splendida tecnica con cui è stato reso l’avanzare del nostro corazzato sul terreno: non un moto liscio e netto come una biglia su un tavolo da biliardo, ma un incedere a piccoli e costanti balzelli, come si conviene a un mezzo cingolato che procede su un terreno accidentato.
L’ambiente circostante è gradevole, con le classiche montagne che cingono una superficie a bande alternate chiaroscure adatta a suggerire l’idea di profondità, le variazioni cromatiche sono di discreto gusto ed i carri nemici sono ben disegnati, anche se a onor del vero hanno movimenti meno realistici di quelli visti in Battlezone, e sembrano scorrere ritmicamente a destra e a sinistra più che spaziare tridimensionalmente.
Le esplosioni sono decisamente “gratificanti”: si ha l’appagante impressione di avere ridotto l’avversario in polvere, e a ciò contribuisce anche un eloquente effetto sonoro. Sul fronte audio, anche tutto il resto rimane su ottimi livelli, dalle folate dei missili che sfiorano il nostro carro, al costante sottofondo creato dal motore di quest’ultimo, passando per il suono dei messaggi di allarme.
Nei controlli, si sfonda la soglia dell’eccellenza per accedere al regno della perfezione. Laddove il panzer protagonista del Battlezone casalingo pare un goffo pezzo di ferraglia, troppo lento per il cimento che si trova ad affrontare, quello di Robot Tank si manovra che è una meraviglia e se la può vedere alla pari con i propri rivali. Anche la modalità di attacco è magnificamente surreale ed arcade: il mirino posto al centro dello schermo determina sempre la posizione corrente dello sparo, così che se ne può guidare la direzione anche dopo averlo scoccato muovendo a destra o a sinistra. In più, i missili dei nemici sono a loro volta intercettabili con le nostre cannonate e, in un ulteriore sano guizzo di assurdità, spariscono insieme con chi li ha scagliati: si può correre il rischio di porsi sulla linea di fuoco dell’avversario, se si confida di riuscire ad eliminarlo prima che sia lui a colpire noi… tanto illogico quanto geniale.
I duelli sono rapidi, emozionanti e via via più forsennati man mano che gli squadroni si fanno più pericolosi. Ed è vero, come i pochi detrattori di questo titolo fanno notare, che la sostanza delle battaglie è sempre la stessa (spostare la prospettiva lontano dal fuoco avverso, convergere sull’obiettivo sparando, e così di seguito), ma è altrettanto vero che si tratta di una routine vivace, dinamica, e che le note di varietà offrono quantomeno difficoltà ed atmosfere differenti.
Non mi stancherò mai di vedere affiorare piano piano i mezzi corazzati dalla nebbia, ed è uno spasso scoprirsi infallibili cecchini anche nel buio della notte, grazie alle prestazioni di un radar affidabilissimo. E quando questo sia nostro malgrado fuori uso, si assaggia un sapore davvero eroico nell’attendere che il carro ostile ci bersagli con una cannonata per sfruttare quel singolo istante in cui il suo sparo squarcia l’oscurità illuminandone la siluette, e poi prendere la mira e bruciarlo sul tempo prima che il suo attacco ci investa.
E via di questo passo: dosare accuratamente i colpi in caso di cannone danneggiato, attendere le brevi finestre di visibilità quando il video è in panne, combattere con la scivolosità estrema del fondo innevato… ogni minuto di gioco offre una sfida un po’ diversa.
Anche la difficoltà è ottimamente dosata: se il primo squadrone è un tranquillo esercizio di tiro, il confronto si fa poi sempre più impegnativo e resistere al quinto squadrone ed oltre è cosa per pochi. Una competizione serrata ma onesta, mai frustrante: una goduria action da coin-op succhiagettoni, addolcita dalla “lealtà” che solo un titolo per console può concedersi.
Curiosità
Era tradizione di Activision inviare delle graziose “patch” (trattavasi di toppe colorate, la parola è qui usata nel suo senso letterale) ai giocatori che provassero con una fotografia di avere raggiunto determinate prestazioni. Nel caso di Robot Tank, ne furono predisposte addirittura tre, corrispondenti ad altrettante onoreficenze militari assegnate in base al numero dei corazzati nemici abbattuti: Medal of Merit (48), Cross of Excellence (60) e Star of Honor (72).