Quante volte vi sarà capitato di verificare l’”aurea massima” di cui sopra nella vita di ogni giorno! Anche se non sarebbe necessario trovare tale “perla di saggezza” in un biscottino della fortuna per rendersi conto della sua veridicità, i publisher e le software house hanno comunque voluto dare il loro bravo contributo ad avvalorarla, facendoci toccare con mano l’inquietante tendenza del denaro a prosciugarsi. I produttori e gli sviluppatori, infatti, non si sono limitati ad evidenziarla con i prezzi “poco amichevoli” dei giochi, ma hanno ribadito il concetto a livello "introvideoludico" inserendo gli “shop” in diversi titoli.
Quella dei negozi in-game è una “moda” che prese le mosse già nella seconda metà degli anni ’80 con arcade hit del calibro di Fantasy Zone (Sega - 1986), Ordyne (Namco - 1988), Atomic Robo-Kid (UPL - 1988), Black Tiger (1987), Forgotten Worlds (1988) e Area 88 / UN Squadron (1989). Interessante rilevare come sia stata proprio Capcom, sviluppatore degli ultimi tre titoli, a consolidare tale “svolta commerciale” cavalcando l’onda dei propri successi che, in un certo senso, sdoganarono lo shopping in-game “da sala giochi” e sancirono l’adozione di un vero e proprio conio virtuale ancora oggi in circolazione nei titoli firmati dalla storica casa di Osaka: gli zenny.
In ambito domestico il trend dello “shopping introvideoludico” inerente nello specifico al genere degli shoot 'em up caratterizzò, ad esempio, titoli di rilievo come Xenon II: Megablast (The Bitmap Brothers - 1989 - Amiga, Atari ST, PC MS-DOS, Master System, Mega Drive, Archimedes, Game Boy, NEC PC-9801, Sharp X68000), Blood Money (DMA Design / Psygnosis - 1989 - Amiga, Commodore 64, Atari ST, PC MS-DOS), Silpheed (Game Arts - 1993 - Mega CD), Lords of Thunder / Winds of Thunder (Red / Hudson Soft - 1993 - PC Engine Super CD-ROM2 / Mega CD) e Tyrian (Eclipse / Epic MegaGames - 1995 - PC).
Dato che la struttura dei 2D shooter è contraddistinta da un numero abbastanza ridotto di variabili, non stupisce l’iniziativa di un’intraprendente software house tedesca, la Rainbow Arts, che nel 1989/90 rimescolò un po’ le carte già giocate dai predecessori e sviluppò X-Out, uno sparatutto a scorrimento orizzontale per Amiga, Amstrad CPC, Atari ST, Commodore 64 e ZX Spectrum.
In un certo senso era inevitabile che un significativo contributo alla moda dello "shopping in-game in salsa shootemuppara" provenisse dagli stessi sviluppatori di... Denaris.
Una “dispendiosa” avventura subacquea
In Blood Money i “ragazzi” della DMA Design (la futura Rockstar Games / Rockstar North), avevano allestito un impegnativo safari interplanetario mettendo a disposizione del temerario pilota quattro veicoli per affrontare altrettanti pianeti gremiti di creature da distruggere, quanto ben forniti di “Equipment Shops”.
Uno degli stage di questo seguito ideale di Menace (DMA - 1988 - Amiga, Atari ST, Commodore 64 e PC MS-DOS) si contraddistingue per un’ambientazione subacquea e prevede l’utilizzo di un piccolo sottomarino.
Rainbow Arts ripropone i suddetti temi in X-Out (“Cross Out”) sviluppandoli in ben 8 livelli contrassegnati da “inevitabili” echi di R-Type e Gradius, un buon assortimento di middle e final boss, un design abbastanza elaborato e un ritmo veloce e incalzante. E’ curioso infatti notare come le dinamiche di gioco di questo titolo siano ben diverse da quelle relativamente “compassate” di Blood Money e si caratterizzino per una frenesia in apparenza poco consona all’ambientazione sottomarina.
Se X-Out tende ad allinearsi a diversi stilemi tipici degli shoot ‘em up a scorrimento orizzontale di fine ’80, si discosta tuttavia dalla massa per la decisa rielaborazione del celebre shop intralivello di Xenon II. Nei “punti vendita” dello shooter firmato Rainbow Arts, difatti, è possibile scegliere tra: 4 diversi minisub, 3 classi di "primary shot" (ognuna con altrettanti livelli di potenza), 8 armi secondarie (tra cui 3 missili), 4 beam e una discreta varietà di pod. La ricca dotazione dello shop, dunque, permette un notevole numero di combinazioni e l’acquisizione di veicoli sottomarini extra che andranno ad integrare quello di default.
Naturalmente i minisub e gli articoli presenti nel negozio hanno prezzi tali da rendere improbabili degli acquisti “su larga scala”. I crediti da impiegare nei punti vendita, infatti, non sono quasi mai sufficienti e costringono a dilemmi “strategici” del tipo “è preferibile avere due veicoli poco equipaggiati o uno solo (e quindi una sola vita) dotato di un armamento più devastante?”. Per quanto si affrontino i livelli in modo aggressivo e si corrano rischi extra per distruggere un gran numero di nemici per accumulare più “fondi”, questi ultimi sembreranno spesso inadeguati e obbligheranno ai classici ripieghi “da coperta troppo corta”.
L'avanzata personalizzazione di veicoli ed equipaggiamenti consentita dai fornitissimi shop non sarebbe però sufficiente a spiegare il successo di X-Out. Il titolo Rainbow Arts, infatti, vanta anche contenuti di tutto rispetto e una realizzazione tecnica di prim’ordine. Le versioni C64 (la “capostipite” datata 1989) e Amiga si distinguono per un’ottima fluidità debitamente sbandierata negli inserti pubblicitari delle riviste (“scorrimento a 50 immagini al secondo” -in parallasse sull’home computer a 8 bit-), dove peraltro si quantifica tramite diverse cifre le proporzioni e le “forze in campo” di questo impegnativo shoot ‘em up: “più di 50 oggetti simultaneamente a video”, “fino a 48 colori a video” (sul 16 bit Commodore), “8 livelli ognuno composto da 160 videate” (lo scrolling orizzontale automatico permette al minisub un’ampia escursione in verticale), “40 extra-terrestri differenti” e “‘compravendita’ con più di 25 armi extra dalle funzioni multiple”. Solite esagerazioni promozionali? Non proprio. In linea di massima, se si chiude un occhio sul numero un po’ ottimistico di 50 elementi on-screen, tutte le caratteristiche di cui sopra sono in effetti riscontrabili nel porting per Amiga e buona parte di esse impreziosiscono la versione C64 che, peraltro, annovera la firma di Andreas Escher, grafico di Katakis, Denaris, R-Type e Turrican II.
La trasposizione per il 16 bit Commodore si fregia di un “optional” assai interessante: una soundtrack curata da Chris Huelsbeck. Anche se il brillante autore tedesco si limita in questo caso ad ottimizzare per il flessibile Paula 8364 le C64 SID chiptune di Michael Hendriks, il risultato è, in ogni modo, pregevole. Spicca in particolare l’intro/title music caratterizzata da un marcato taglio cinematografico che, per ammissione dello stesso Huelsbeck, è ispirato al tema di Battlestar Galactica, pezzo composto da Stu Phillips (ovviamente il riferimento è alla serie originale datata 1978) e a quello di Star Wars, realizzato dal grande John Williams.
X-Out è uno shoot ‘em up rapido, frenetico e distruttivo che non risparmia nulla in termini di sfida. La struttura del titolo Rainbow Arts, infatti, prevede una singola vita nel primo livello per poi consentire l’acquisto di minisub extra nei livelli successivi, sia pur sacrificando l’equipaggiamento degli stessi. Se dunque si considera che la dotazione di veicoli è sempre assai ridotta e che questi ultimi vengono distrutti all’istante in caso d’impatto con ostacoli inamovibili e nemici di dimensioni medio-grandi, risulterà chiara la vocazione tendenzialmente hardcore dell’arcigno sparatutto teutonico.
La versione Atari ST
Rainbow Arts affidò ad Arc Developments lo sviluppo dei porting per Amstrad CPC e ZX Spectrum che, tenuto conto degli inevitabili compromessi imposti dalle specifiche dei rispettivi sistemi, risultano tecnicamente apprezzabili, con l’home computer Sinclair che compensa i classici limiti cromatici sfoggiando una maggiore velocità.
La conversione per Atari ST è realizzata dagli stessi programmatori della controparte Amiga: il valido coder Heiko Schröder e il grafico Celal Kandemiroglu (autore più noto come cover artist). Le musiche, viceversa, non possono vantare il prestigioso contributo di Chris Huelsbeck che viene sostituito da Jürgen “The Soundmachine” Piscol.
Non potendo fare affidamento sui co-processori in dotazione agli Amiga, gli sviluppatori erano a loro volta costretti ad una scelta da coperta troppo corta: è preferibile sacrificare velocità e fluidità oppure ridimensionare la finestra video? Alla fine fu proprio quest’ultima ad essere limitata in funzione dell’esigenza di gestire via software lo scrolling e gli elementi grafici.
La versione Atari ST di X-Out, dunque, risente di una finestra video piuttosto angusta (256X128 con una risoluzione di 320X200 a fronte dell’assai più generosa 288X170 -ris. 320X224- della controparte Amiga), con ovvie ripercussioni sulla difficoltà che risulta accentuata dalla restrizione imposta alla “visuale”. Inevitabilmente il minisub dovrà spesso variare di quota per abbandonare le zone più gremite di nemici e proiettili e gravitare in quelle meno pericolose, senza trascurare in ogni modo un congruo ammontare di blastaggio finalizzato a raggranellare crediti da spendere nello shop intralivello.
Già ostico su Amiga, X-Out accentua il livello di sfida nella “claustrofobica” versione ST che, tuttavia, compensa la ridotta finestra video e i 16 colori su schermo con un’apprezzabilissima fluidità, un ritmo piuttosto rapido e un “gran” numero di sprite visualizzati in contemporanea senza particolari defaillance da parte del glorioso 68000.
Sul fronte sonoro si registra la totale assenza degli FX e una soundtrack piuttosto diversa da quella C64 / Amiga. La differenza principale è di ordine qualitativo e deriva dai severi limiti tecnici imposti dal PSG chip Yamaha YM2149, manifestandosi in particolare nell’intro/title che, oltre che accorciata in relazione al dimezzamento subito dalla sequenza introduttiva rispetto alla corrispondente del porting per Amiga, risulta drasticamente impoverita nella resa a causa degli scarni square wave tones. Oltre al “blipping-blopping treatment” che di solito si riscontra nelle conversioni su ST dei moduli musicali realizzati per il 16 bit Commodore (TFMX / TMMX Pro nel caso di X-Out), la colonna sonora della versione Atari presenta in-game BGM del tutto diverse dalle corrispettive firmate da Michael Hendriks e Chris Huelsbeck.
In generale i nuovi brani di Jürgen Piscol si rivelano complessivamente decorosi, con luci ed ombre per quelli proposti negli 8 livelli e godibili chiptune “di contorno” (shop e high score), tra cui spicca l’orecchiabile loading jingle.
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