Nella seconda metà degli anni ’80 il settore dell’intrattenimento arcade entrò in una fase di progressivo sviluppo che comportò anche una vera e propria “corsa agli armamenti” mirata a sviluppare i system board più performanti. In quegli anni, difatti, il gap tecnologico tra l’hardware dedicato dei coin-op e quello dei sistemi domestici si ampliò significativamente e la Sega svolse un ruolo chiave in questo processo.
Tra il 1985 e il 1990, la casa di Wonder Boy e Shinobi sviluppò la bellezza di 94 titoli arcade su 11 schede diverse (System 1, System 2, Space Harrier Hardware, Out Run Hardware, X Board, Y Board, System 16A, System 16B, System E, System 18, System 24), tra cui successi del calibro di: Space Harrier, Hang-On, Super Hang-On, Enduro Racer, Out Run, Turbo Out Run, After Burner, After Burner II, Thunder Blade, Super Monaco GP, Galaxy Force, Galaxy Force II, Power Drift e G-LOC: Air Battle.
Prendendo in prestito un’espressione ciclistica, la Sega era “in fuga” e stava infliggendo un rilevante distacco agli avversari. Gli arcade system board utilizzati per i titoli sopra elencati (esclusi Wonder Boy e Shinobi) erano dotati di specifiche tecniche tali da poterli considerare alla stregua di campate costituenti un lungo ponte proiettato verso il futuro, una vertiginosa struttura composta da innumerevoli sprite che consentiva ai videogiocatori di intravedere le meraviglie tridimensionali del decennio successivo.
Wow... Super-Scaler!
Space Harrier (1985) fu la prima eloquente testimonianza di un primato tecnico che sarebbe rimasto a lungo appannaggio esclusivo della SErvice GAmes. L’innovazione fondamentale di questo famosissimo titolo è la stessa che caratterizza tutti i coin-op basati su Space Harrier Hardware, Out Run Hardware, X Board e Y Board: il “Super-Scaler”. I suddetti arcade system board, infatti, vantavano una tecnologia assolutamente avveniristica che combinava la potenza di 2 / 3 CPU Motorola 68000 a 10 / 12,5 MHz con un’architettura customizzata per la gestione di 128 / 256+ sprite e l’applicazione di effetti di hardware zooming su ciascuno di essi.
Chiunque abbia frequentato una sala giochi nella seconda metà degli anni ’80 ricorderà facilmente i titoli Sega che sfoggiavano il Super-Scaler. Nel 1985, uno Space Harrier, shooter firmato dal grande Yu Suzuki, lasciava letteralmente a bocca aperta, con quest’ultima reazione che si ripeteva puntualmente quando i maghi della SErvice GAmes estraevano dal cilindro un’altra meraviglia in “3D”. Il videogiocatore, infatti, veniva sedotto dall’assoluta unicità di questi spettacolari coin-op che nel loro ambito rimasero tecnologicamente insuperati per circa un lustro, nonché off-limits per ogni hardware domestico a 16 bit. Significativo, infatti, che le prime conversioni arcade-perfect di After Burner / After Burner II e Space Harrier siano state sviluppate per l’add-on Sega 32X, un sistema datato 1994 e basato su due processori Hitachi SH2 RISC a 32 bit.
Come al cinema!
Uno dei coin-op che non mancavano certo di farsi notare per le audaci quanto peculiari soluzioni grafiche e per il vistoso “deluxe sit-down model” era sicuramente Thunder Blade (1987).
Ispirato al film Tuono Blu (“Blue Thunder” - 1983) e all’omonima serie televisiva (1984), il titolo Sega metteva idealmente il giocatore nei panni del pilota Frank Murphy (interpretato nella pellicola da Roy Scheder) e alla guida di un potente elicottero da combattimento.
In questo impressionante sparatutto “tridimensionale” sviluppato sulla X Board, l’elicotterista videoludico, “a bordo” del micidiale velivolo, deve affrontare 4 stage, 3 dei quali articolati in altrettante sezioni distinte.
Il primo sottolivello si caratterizza per rilevanti peculiarità grafiche e strutturali che, prendendo le mosse da un classico vertical shooter, ne potenziano l’impatto visivo con una sorta di pseudo-prospettiva e ne ampliano la libertà di movimento grazie alla possibilità di variare la quota dell’elicottero. Le notevoli specifiche del’arcade system board, infatti, vengono sfruttate per simulare la profondità degli elementi grafici presenti sui fondali che vengono delineati attraverso la giustapposizione di numerosi sprite cui sono applicate diverse velocità di scorrimento verticale e orizzontale in proporzione alla “distanza” dal terreno. Quando, poi, il velivolo varia di quota, questi “layer” (assimilabili ai vari “strati” di un fondale in multi-parallasse) zoomano in maniera del tutto analoga agli elementi che popolano i lati della strada di Out Run.
La seconda sezione, invece, sviluppa l’impostazione à la Space Harrier aggiungendo i già descritti effetti di falsa profondità ottenuti dalla moltiplicazione degli elementi planari e dalla disposizione sfalsata degli stessi allo scopo di simulare una prospettiva 3D.
Lo stage, infine, si conclude con un “classico” mega-boss da sorvolare (senza possibilità di variare la quota) e distruggere con dinamiche non diverse da 1943: The Battle of Midway. In questo caso la struttura ricalca più fedelmente quella di un canonico sparatutto a scorrimento verticale, discostandosi esteticamente da esso per i già descritti preziosismi “pseudo-prospettici”.
Si distingue dalla suddetta struttura tripartita la missione finale che, dopo la prima sezione a scorrimento verticale in “3D” e la seconda con visuale à la After Burner, mantiene quest’ultimo punto di vista nello scontro con la postazione corazzata che prelude ai titoli di coda.
Thunder Blade è un titolo piuttosto breve che punta tutto sull’impatto visivo garantito dal notevole comparto grafico, sulla peculiarità del sistema di controllo e su un gameplay immediato, frenetico e appagante.
Il coin-op Sega si propone in due versioni: “upright model” e “deluxe sit-down model”. In entrambe le varianti, i cabinet sfoggiano una sorta di “mini cockpit” con manetta (“throttle lever”) e joystick analogico con funzione di cloche multidirezionale dotata di due tasti (“CANNON” e “MISSILE”). Se l’“upright model” introduce il force feedback applicato al joystick analogico, la “deluxe sit-down model”, non lo implementa e si limita a simulare la posizione del pilota demandando al giocatore i movimenti della postazione che vengono impressi tramite la stessa “cloche”.
Nonostante le dinamiche di gioco non si discostino più di tanto da quelle già proposte nel 1985 dalla stessa SErvice Games in Space Harrier e dalla Taito / Toaplan in Tiger Heli, le “vertiginose” variazioni di quota dell’elicottero che caratterizzano le fasi overhead, gli scenografici effetti “simil-prospettici” e gli spettacolari cambiamenti di visuale che mantengono efficacemente una sorta di continuità “filmica” tra le varie sezioni garantiscono un pregevole retrogusto cinematografico. Le audaci soluzioni visive, poi, si alleano con la perfetta fluidità che caratterizza ogni movimento, la notevole ricchezza cromatica (fino a 256 colori a video da una tavolozza di 24576), il pregevole livello di dettaglio e il valido comparto sonoro (ottimi FX digitalizzati e godibili brani funky-jazz di Koiki Namiki, autore delle OST di Super Hang-On e Galaxy Force II) per rendere particolarmente incisivo questo arcade hit.
Le versioni domestiche
Com’era prevedibile per un titolo di successo, Thunder Blade fu convertito su numerose piattaforme: Amiga, Amstrad CPC, Atari ST, Commodore 64, PC MS-DOS, MSX, Master System, Mega Drive / Genesis (una sorta di spinoff: Super Thunder Blade), Sharp X68000, PC Engine / TurboGrafx-16 e ZX Spectrum. Con l’eccezione della versione X68K, i porting per home computer facevano parte delle numerose licenze acquisite dalla britannica U.S. Gold che, in questo caso, beneficiò di uno sponsor d’eccezione: la Pepsi.
La trasposizione sugli hardware domestici di un coin-op caratterizzato da soluzioni grafiche così sofisticate era certamente un’impresa da far tremare le vene e i polsi al miglior sviluppatore. In effetti, i primi sistemi casalinghi dotati di feature simili alla tecnologia “Super-Scaler” videro la luce solo nel 1990/91 (Neo Geo, Super Famicom / Super NES e Mega CD), senza, peraltro, permettere ancora effetti di hardware zooming caratterizzati da velocità, fluidità e complessità (numero di sprite a video) paragonabili a quelli sfoggiati in Space Harrier.
Per avere un’idea delle difficoltà da affrontare nello sviluppo di questa conversione basti pensare al notevole porting per X68000, realizzato nel 1990 dalla stessa Sega. Nonostante il suddetto sistema fosse noto per le trasposizioni “arcade-perfect”, infatti, non fu possibile onorare il pur validissimo Thunder Blade per X68K con questa prestigiosa etichetta poiché il computer Sharp non implementava le ricercate “hardware scaling features”.
La riuscita qualitativa delle conversioni dipese naturalmente dalle specifiche tecniche disponibili e dalla qualità del coding che risultò innegabilmente notevole nella sorprendente trasposizione su Commodore 64, uno dei piccoli miracoli di programmazione realizzati dal grande Chris Butler per questo popolare home computer.
I porting per console, viceversa, furono caratterizzati da diversi compromessi, tra cui l’eliminazione (Mega Drive / Genesis) o la radicale “ristrutturazione” delle problematiche fasi overhead che, in pratica, si trasformarono in vertical shooter standard (Master System) o equivalenti delle stesse con blandi effetti simil-prospettici (PC Engine) e, in ogni caso, tralasciarono le variazioni di quota dell’elicottero.
Le conversioni di Thunder Blade per Amiga, Amstrad CPC, Atari ST, MSX e ZX Spectrum furono affidate alla Tiertex Limited, noto sviluppatore inglese che, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, si occupò con esiti poco felici delle trasposizioni su home computer di importanti titoli distribuiti sotto etichetta U.S. Gold come Alien Storm, Dynasty Wars, Last Duel, Mercs, Rolling Thunder, Street Fighter, Strider e UN Squadron.
Curiosamente il suddetto team non optò per un approccio prudenziale e compromissorio nei confronti dello spettacolare coin-op Sega che, difatti, venne “trasferito” sui vari sistemi domestici senza particolari “scorciatoie” nè rilevanti tagli strutturali. Volendo, infatti, esprimere un apprezzamento per i porting di Thunder Blade firmati Tiertex si potrebbero senz’altro definire teoricamente ambiziosi e, almeno da quest’ultimo punto di vista, “all’altezza” dello sponsor Pepsi e dello sbandierato “riferimento” alla già citata serie televisiva “Tuono blu” (sul box campeggiava la scritta “THE PEPSI CHALLENGE GAME OF THE YEAR” e “AS SEEN ON TV”).
Tra i “beneficiari” dell’alacre attività dispiegata dal team inglese erano naturalmente inclusi i possessori di Atari ST.
Per dipingere una parete grande, ci vuole un pennello grande…
... o un grande pennello? In effetti, l’apparentemente lapalissiano slogan della nota pubblicità si presta ad essere in parte “riciclato” per illustrare una trasposizione “impossibile” come quella di Thunder Blade (1988) su Atari ST. Il motto, infatti, potrebbe essere riformulato così: "Per sviluppare una conversione di un 'grande' coin-op, ci vuole un 'grande' hardware… o un grande programmatore?".
Se però il porting per Commodore 64 del coin-op Sega beneficia, appunto, dell’opera di un “coder McGyver”, il talentuoso Chris Butler (autore, sempre su C64, di Power Drift e Turbo Charge), i corrispondenti su ST e Amiga non hanno altrettanta fortuna.
Thunder Blade sul 16 bit Atari risulta particolarmente penalizzato in due settori: grafica e sistema di controllo.
La scelta adottata dalla Tiertex di mantenere in toto la struttura “3D” delle fasi overhead si rivela assai infelice per l’insostenibilità del carico di lavoro imposto al Motorola 68000. Idem come sopra per l’onerosa riproduzione degli effetti simil-prospettici nelle sezioni à la Space Harrier, “finezze” non a caso assenti su PC Engine e Mega Drive. Se si considera, peraltro, che l’Atari ST non può contare su co-processori dedicati per la gestione di sprite e scrolling, va da sé che il coding dovrebbe essere veramente efficientissimo per far sì che la sola CPU "porti avanti tutta la baracca" ad una velocità accettabile e con un frame rate relativamente stabile. Purtroppo, in mancanza di un decente compromesso tra dettaglio e fluidità, la conversione risente di un aggiornamento che varia da passabile a “slideshow-style” con quest’ultima situazione che si verifica molto spesso nelle fasi “overhead pseudo-3D” e, in linea di massima, ogni volta che un missile lanciato dall’elicottero esplode impattando con un ostacolo ravvicinato. In effetti, le sole sezioni graficamente discrete sono quelle bidimensionali (senza “pseudo-prospettive”) à la Tiger Heli in cui, fino al 3° stage, si affrontano i mega-boss.
L’altro punto dolente della conversione è costituito dal mancato utilizzo della tastiera in funzione di supporto al sistema di controllo che risulta così strettamente vincolato al joystick e al singolo tasto disponibile. Ciò che in sala giochi, dunque, era demandato alla manetta, utilizzata per avanzare e dosare la velocità dell’elicottero, viene poco opportunamente sostituito dalla combinazione di pressione sul tasto di fuoco e direzione in avanti. Dato che la variazione di quota del velivolo è gestita analogamente alla controparte arcade, è inevitabile che la suddetta “funzione manetta” escluda qualsiasi altro movimento che non sia l’avanzamento e lo spostamento laterale. È facilmente intuibile, quindi, quanto sia farraginoso un control system così congegnato che, in sostanza, costringe ad interrompere l’avanzata l’elicottero per aumentare o diminuire la distanza da terra.
La combinazione tra marcata scattosità, frame rate particolarmente instabile, sistema di controllo inadeguato e rilevamento delle collisioni impreciso rendono il gameplay di Thunder Blade assai problematico, generando una spiccata impressione di caos che, non di rado, sembra privilegiare il fattore fortuna rispetto ad accuratezza delle manovre, attenzione e riflessi. Interessante, poi, notare come la Tiertex si renda conto dei rilevanti limiti di una conversione che trasforma il potentissimo quanto agile elicottero da combattimento del coin-op in una sorta di piccione lento e goffo catapultato in mezzo ad una gara di tiro e tenti dunque di mitigare in parte la frustrazione raddoppiando il numero di vite disponibili.
Curiosamente il porting per Atari ST di Thunder Blade risulta più decoroso nel comparto sonoro che non in quello grafico che, in ogni caso, non può dirsi lontano dai limiti tecnici necessariamente imposti dall’hardware. Le musiche e gli FX, infatti, sono interamente digitalizzati e, tenuto conto dei limiti imposti dal chip audio, ripropongono accettabili “versioni digest” delle BGM firmate da Koiki Namiki e adeguati effetti in-game.
Come spesso accadde in quegli anni, il porting per ST è il “punto di partenza” per lo sviluppo della trasposizione su Amiga che, pur essendo indubbiamente “imparentata” a quella Atari, beneficia in ogni modo di apprezzabili miglioramenti cromatici (32 colori a fronte dei 16 della versione ST), digitalizzazioni più raffinate e, last but not least, di una parziale ottimizzazione del codice in relazione alle specifiche caratteristiche dell’hardware Commodore. Il risultato dei suddetti “ritocchi” al coding sono evidenti nella maggiore velocità e nella superiore stabilità del frame rate.
Altre immagini: