Forse l'acronimo CPS / CPS-1 non accenderà nessuna particolare lampadina in quei retrogamer che, magari, non erano particolarmente "sensibili" al "dietro le quinte" di molti tra i più noti coin-op realizzati tra il 1988 e il 1995.
Eppure tale sigla si riferisce ad un arcade board che rivestì un'importanza fondamentale nella storia videoludica, quando quest'ultima si scriveva soprattutto in quel sancta sanctorum dell'intrattenimento elettronico che era la sala giochi.
Il Capcom Play System fu la piattaforma hardware che, consentì alla compagnia di Osaka, già reduce da successi del calibro di Commando, Ghost ‘n’ Goblins, Bionic Commando, 1943: The Battle of Midway, Black Tiger, Street Fighter e Tiger Road, di aumentare enormemente la propria fama grazie ad un impressionante fuoco di fila di hit sviluppati su questa flessibile quanto potente board.
L'elenco dei 28 CPS games, infatti, include titoli di notevole rilievo e capolavori videoludici come: Forgotten Worlds, Ghouls 'n’ Ghosts, Strider, Dynasty Wars, U.N Squadron, Final Fight, 1941: Counter Attack, Mercs, Magic Sword, Street Fighter II: The World Warrior, Three Wonders, The King of Dragons, Captain Commando, Knights of the Round, Street Fighter II: Champion Edition, Street Fighter II: Hyper Fighting, Street Fighter II Turbo: Hyper Fighting e Mega Man: The Power Battle.
Le specifiche tecniche della CP System erano decisamente notevoli per un hardware datato 1988: risoluzione "semi-panoramica" di 384X224 (superiore alla 320X224 del più “recente” -1990- Neo Geo Multi Video System -MVS-), possibilità di gestire fino a 128 sprite (dimensione: da 16X16 a 64X64 pixel), parallasse hardware su 3 livelli, fino a 256 colori su schermo da una tavolozza di 3072 e doppio chip audio (sintesi FM su 8 canali stereo e campionamenti 4-bit ADPCM su 4 voci mono).
Si trattava, dunque, di una piattaforma tanto potente quanto flessibile che, non solo fu ampiamente valorizzata dalla Capcom fino al 1995, ma beneficiò anche di una “enhanced version”, la CP System Dash / CPS-1.5 / CPS Q-Sound (1992/93), un arcade board che migliorava la qualità audio della CPS-1 grazie alla qualità e all’innovativa apertura del fonte sonoro consentita, appunto, dal Q-Sound chip.
A quest’ultimo hardware si dovette una breve ma significativa seconda giovinezza della piattaforma lanciata nel 1988 che, acusticamente potenziata, tornò a mostrare i muscoli con: Warriors of Fate, Cadillacs and Dinosaurs, The Punisher, Saturday Night Slam Masters e Muscle Bomber Duo: Ultimate Team Battle.
Per l’utilizzo tanto intensivo quanto fruttifero e l’indiscutibile versatilità, la CPS-1 potrebbe essere considerata un Neo Geo MVS ante litteram e non è certo un caso che la Capcom abbia effettivamente tentato di seguire le orme della SNK producendo nel 1994 il CPS Changer, una versione domestica del già menzionato CP System Dash che, a conti fatti, costituiva la risposta della grande C alla console Neo Geo Advanced Entertainment System (AES).
Dopo 7 anni di ”onorata carriera”, il CP System / CP System Dash cedette infine il passo al più potente CP System II (CPS-2) che aveva già esordito nel 1993 con Super Street Fighter II: The New Challengers… ma, per utilizzare un refrain del Michael Ende de “La storia infinita”, << […] questa è un'altra storia, e la si dovrà raccontare un'altra volta. >>.
Tornando al 1988 e al debutto del CPS-1, vediamo quale fu il “biglietto da visita videoludico” di questa gloriosa arcade system board, vale a dire il “multi-directional firing” shoot ‘em up Forgotten Worlds.
Gli indimenticabili “Mondi Dimenticati”
In un imprecisato quanto lontano futuro, la Terra è ormai in larga parte devastata dall’opera distruttrice di una crudele divinità chiamata Bios. La desolazione che regna nelle amorfe lande punteggiate da rovine, piantonate dagli agguerritissimi servitori del dio malvagio e presidiate da 8 terribili guardiani a lui fedeli, è tale da consegnare all’oblio i nomi originali, sostituendoli con un anonimo “Dust World”.
Per fortuna la speranza dei terrestri sopravvissuti non è scomparsa nella polvere dei “Mondi Dimenticati” e si affida ora a due potentissimi super guerrieri biomeccanici che attaccheranno il micidiale Bios e i suoi altrettanto letali accoliti per sconfiggerli definitivamente, liberando, così, la Terra dalla loro esiziale presenza.
Volendo dare una descrizione molto sintetica di Forgotten Worlds (“Lost Worlds” nel magico paese del sol levante), si può definirlo a grandi linee come una sorta di Side Arms ipervitaminizzato, integrato dalla feature del multi-directional firing e dagli “SHOP” (in cui i super guerrieri investono gli “Zenny” -il “conio Capcom”- guadagnati blastando i nemici per ripristinare energia, acquistare armi, armature e persino vite extra), i negozi già visti nel 1987 in Black Tiger. Il primo titolo sviluppato su scheda CPS-1 è anche l’ultimo di un’ideale trilogia di sparatutto firmati dalla grande C che vedono come protagonisti eroi dotati di jetpack: Section Z (1985), il già menzionato Side Arms: Hyper Dyne (1986) e, appunto, il “biglietto da visita” della CP System.
Forgotten Worlds è uno di quei coin-op che spiccava tra i titoli contemporanei per due motivi ben distinti: la notevolissima qualità grafica e l’insolito sistema di comando. La Capcom, infatti, non solo mirava a fornire con questo shoot ‘em up un’eloquente dimostrazione di forza, un vero e proprio “Vulgar Display of Power” della CPS-1, ma tendeva anche a distinguerlo dalla concorrenza garantendo un gameplay assolutamente peculiare.
Adottando un “roll switch”, vero e proprio “pulsante ruotabile” concepito per sparare in 16 direzioni differenti, la compagnia di Osaka dettò la linea dello “multi-directional firing shoot-em-up” che di lì a un anno sarebbe proseguita con coin-op come Megablast (Taito), Hellfire (Toaplan) e Prehistoric Isle in 1930 (SNK).
Questo arcade hit Capcom, dunque, è uno shoot ‘em up a scrolling prevalentemente orizzontale articolato in 9 livelli di cui due più brevi a scorrimento verticale.
Ai due super guerrieri dotati di jetpack è associata una energy bar che può essere ripristinata mediante l’acquisto di un medikit in uno degli SHOP. In questo titolo non si dispone che di una vita e i suddetti negozi non sono collocati all’inizio di ciascuno stage, ma impongono un “lunghissimo” quanto cruciale minuto di gameplay prima di raggiungerli… con protagonisti già malconci poiché reduci dagli scontri con i mega-boss.
Anche se è possibile acquistare una costosissima extra life in uno degli shop, collezionare abbastanza Zenny da dotarsi di un buon arsenale (sono disponibili 11 tipologie di armamento differenti), ripristinare la propria energia e, magari, per l’appunto, procurarsi un super guerriero di scorta comporta notevoli rischi legati alla tattica particolarmente aggressiva che si rende necessaria per blastare quanti più nemici possibili e raggranellare tutto il “conio Capcom” che essi rilasciano.
Com'era prevedibile, Forgotten Worlds è uno sparatutto molto impegnativo dove i “jetpack heroes” devono destreggiarsi tra nugoli di velocissimi sprite nemici, superare strettoie presidiate da numerose postazioni di fuoco, fronteggiare attacchi di ogni genere provenienti da tutte le direzioni e combattere con boss enormi, dotati di armi devastanti e caratterizzati da pattern offensivi piuttosto insidiosi.
La struttura dello shoot ‘em up si presta particolarmente ad un consigliabilissimo 2-player mode che permette di “guardarsi le spalle” a vicenda, di attaccare con maggiore efficacia i nemici più resistenti, di selezionare armi differenti per venire incontro alla maggior parte delle esigenze… e, magari, di razziare gli Zenny che “spetterebbero” al partner videoludico utilizzandolo come scudo per proteggersi dai proiettili nemici.
Dal punto di vista tecnico, Forgotten Worlds è semplicemente… garagantuesco (<< Mi è sempre piaciuto l'aggettivo "Gargantuesco", succede raramente di poterlo usare in una frase... >> -Elle Driver- da “Kill Bill vol. 2”) per un coin-op datato 1988: da 90 a circa 180 colori a video ben selezionati e distribuiti, ottima definizione, alto livello di dettaglio, tratto elaborato e incisivo (con due gustose citazioni grafiche da Hokuto No Ken), maestosa parallasse, gran numero di sprite su schermo, ritmo serratissimo e boss eccellenti per design, caratterizzazione e, in alcuni casi, animazioni (su tutti il superbo Dust Dragon del secondo stage e l’imponente God of War del terzo).
Se il fronte audio risulta qualitativamente assai meno eclatante di quello estetico a causa delle limitazioni del chip Yamaha YM-2151, può in ogni modo contare su musiche epiche e brani d’atmosfera che, ad esempio, enfatizzano la cupa desolazione delle ambientazioni (Stage 2) o sottolineano la drammaticità dello scontro con gli agguerritissimi nemici nei concitati livelli finali. Anche gli FX in-game che, come le BGM, sono per lo più in sintesi, non brillano per resa acustica e confermano la poca incisività dei difficilmente intelligibili vocal samples che accompagnano le criptiche “battute” testuali dei super guerrieri, rinomate per la fluentezza del loro “engrish” (“Did you find the guy?”, “I’ll finish you today for sure!”, ecc…).
Se la Capcom si era proposta di dare con questo shoot ‘em up un saggio delle potenzialità della CPS-1 e, allo stesso tempo, di piazzare un nuovo arcade hit, tali intenti non potevano che dirsi raggiunti. Forgotten Worlds, infatti, riscosse un notevole successo e, di conseguenza, diede vita ad una numerosa progenie di conversioni: PC MS-DOS (1988), Commodore 64 (1989), ZX Spectrum (1989), Amstrad CPC (1989), Amiga (1989), Atari ST (1989), Mega Drive / Genesis (1989), Master System (1990) e PC Engine Super CD-ROM² (1992).
I porting dimezzati e la versione Atari ST
Nel 1989 la U.S. Gold affidò le difficili conversioni per home computer di questo coin-op alla Arc Developments, team fondato due anni prima da programmatori provenienti dalla già blasonata Elite Systems. Questi porting non furono gli unici firmati da tali sviluppatori che, sempre nel 1989, si occuparono anche di Crack Down (ZX, CPC, C64, Amiga e Atari ST), R-Type II (Amiga e ST) e Dragon Breed (Amiga e ST).
Una caratteristica comune ai Forgotten Worls realizzati dalla Arc Developments è la drastica riduzione del numero degli stage: dai 9 del coin-op ai 4 delle versioni domestiche.
Se compromessi in questo senso erano inevitabili in considerazione dei 42,5 mbit (5,4 MB) del coin-op e delle severe restrizioni imposte dalla capacità dei supporti e dalla RAM disponibile, lascia in ogni caso perplessi la scelta della U.S. Gold di limitare a soli due floppy disk le conversioni per home computer a 16 bit (per un totale di 720 kB -ST: 2X360- e 1,7 MB -Amiga: 2X880-) che, altrimenti, avrebbero potuto beneficiare di un numero maggiore di livelli.
Se se si prende atto della circostanza che, tra quelli sopra elencate, il porting graficamente più fedele all’originale è sviluppato da Nec Avenue per PC Engine Super CD-ROM², dovrebbe apparire chiaro che i supporti magnetici e silicei utilizzati su home computer e console diffusi a cavallo tra ’80 e ’90 non fossero i più indicati per una “riproduzione conforme” di un titolo del calibro di Forgotten Worlds.
La stessa versione Mega Drive, infatti, pur vantando un buon ritmo, il cooperative 2 player mode (assente su PCE CD), lo scorrimento parallattico (non riprodotto sul’add-on di Gate of Thunder) e un ben implementato sistema di controllo (migliore di quello adottato dalla NEC Avenue sul joypad di serie), è sicuramente penalizzata sotto il profilo grafico dalla “taglia” assai limitata della cart: 4 mbit, corrispondenti a soli 512 kB.
Un’altra peculiarità del porting di Forgotten Worlds sugli home computer consiste nel sistema di controllo. Come riprodurre il roll switch del coin-op con un single button joystick?
La soluzione adottata dalla Arc Developments è chiaramente di compromesso: per modificare la direzione di fuoco si muove il joystick avanti o indietro tenendo premuto il pulsante. Questo accomodamento comporta l’impossibilità di spostare i protagonisti in orizzontale e sparare mantenendo nel contempo l’orientamento dell’arma. Per fortuna la frenesia del coin-op è stata molto attenuata in queste conversioni e la difficoltà ne risulta fin troppo mitigata, a prescindere dagli indubbi svantaggi legati al control system attuato.
Analizzando nel dettaglio il porting dell’arcade hit Capcom per Atari ST, non si può che constatare come la Arc Developments, in considerazione delle specifiche hardware del sistema e della ridotta memoria disponibile, abbia svolto un lavoro tutto sommato valido. Al di là dell'estetica, sostanzialmente decorosa, la qualità del coding è apprezzabile nello scrolling, in termini di “fluidità” superiore agli “STandard”, nel moderato sfarfallìo degli sprite, nella dignitosa riproduzione delle musiche (purtroppo, in modo analogo alla “controparte” Amiga, le BGM sono ascoltabili in alternativa agli FX) e nella presenza del 2-player mode.
Il problema più rilevante della conversione di Forgotten Worlds su ST non è costituito tanto dalle inevitabili difficoltà imposte dalle caratteristiche del 16 bit Atari, ma dal già citato limite di due floppy disk che, sia pur in misura assai minore, penalizza anche la versione Amiga. Quest’ultima, infatti, pur vantando una discreta parallasse, una buona fluidità, animazioni sufficientemente ricche, diversi apprezzabili “extra” tra cui le 16 direzioni di fuoco (su ST sono ridotte a 8), 32 colori su schermo (il doppio del porting su Atari) e un comparto audio piuttosto apprezzabile, risulta a sua volta sacrificata a soli 4 livelli, 2 musiche in-game e boss afflitti da numerosissimi “tagli”.
Va infine considerato che i pochissimi kB dedicati, appunto, agli “evil gods” da affrontare alla fine degli stage hanno reso questi ultimi fastidiosamente “passivi”, in particolar modo nella versione ST. La drastica riduzione delle animazioni e la conseguente povertà dei pattern di attacco dei boss consentono, infatti, di posizionarsi in un “punto cieco” da dove bersagliarli senza essere colpiti, con conseguente riduzione della sfida ai soli stage 3 e 4 e allo scontro finale con Bios, per fortuna ben più “vivace” dei suoi servitori.
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