Rainbow Islands - Atari STUna nuova avventura per Bubby e Bobby

Dopo aver portato a termine la loro grande impresa nella cave of monsters, dove, trasformati nei piccoli draghi Bub e Bob, hanno sconfitto il Super Drunk e salvato le loro amiche, sottraendole alle grinfie del Boss of Shadow, Bubby e Bobby riottengono l’aspetto umano e, felici, tornano a casa nelle ridenti Rainbow Islands.
Colpo di scena: il terribile Boss non solo ha imprigionato e trasformato in draghetti gli amici dei nostri eroi, ma, tramite un potente incantesimo, ha anche dato inizio ad un progressivo, inesorabile sprofondamento in mare dell’arcipelago.
Tutto è, dunque, perduto? No! Rimane un’unica speranza. I 7 cristalli magici, infatti, possono invertire il processo e salvare le Rainbow Islands e i suoi abitanti, il cui destino è dunque nelle mani di Bubby e Bobby, nonché nella loro abilità di utilizzare gli Arcobaleni Magici.

I nostri eroi dovranno così scalare i 4 livelli di ognuna delle 10 isole (alle prime sette, corrispondenti ai suddetti cristalli, se ne aggiungono tre segrete), per giungere al cospetto dei boss che le presidiano e sconfiggerli per poi affrontare il
Dark Shadow in persona e abbatterlo, liberando i loro amici, prima che tutto ciò che più amano scompaia definitivamente sotto la superficie del mare.

Lo Yin e lo Yang del divertimento “cute”

Anche se il sottotitolo di Rainbow Islands (1987), “The history of Bubble Bobble 2”, sembrerebbe qualificarlo come “seguito ideale” del popolarissimo platform dei draghetti sparabolle, il terzo coin-op del grande game designer Fukio "MTJ" Mitsuji (1960-2008) è da considerarsi “complementare” all’arcade hit realizzato nell’anno precedente.
In un certo senso Bubble Bobble e Rainbow Islands sono lo Yin e lo Yang del divertimento “cute”: due coin-op diversi in molti aspetti, ma, per l'appunto, complementari, permeati dalla stessa inconfondibile atmosfera e caratterizzati dalla medesima, irresistibile giocabilità.

Le differenze di ordine strutturale rispetto al titolo datato 1986 sono numerose quanto rilevanti: scompare il 2-player cooperative mode, sostituito dalla partita in singolo o in alternanza tra i due protagonisti, viene introdotto lo scrolling verticale e la relativa direzione è opposta a quella del “predecessore” (in quest’ultimo si scende, in Rainbow Islands, invece, si sale), entrano in gioco i boss di fine livello e l’eliminazione dei nemici è immediata (e non in due tempi come, salvo particolari casi, avviene nel “prequel”, ispirato in questo a Mario Bros.).

Interessante considerare le caratteristiche dell’arma magica che i protagonisti hanno a disposizione: gli Arcobaleni Magici.
Non diversamente da Bubble Bobble si tratta di un’arma polivalente che, non solo serve per eliminare i nemici sia direttamente (“direct projection”) che “indirettamente”, vale a dire facendo cadere (“collapsing”) uno / più arcobaleni sugli sgherri del Boss o frantumandone nei pressi delle piattaforme dove si trovano, ma anche per “scalare” i livelli (gli archi sostengono il peso di Bubby / Bobby e dei nemici non volanti), per gettare dei “ponti” temporanei tra le piattaforme, per raccogliere i bonus, per farli emergere dal terreno, per imprigionare gli avversari e per proteggere il protagonista da proiettili, fulmini e fiamme.
Gli arcobaleni, dunque, sono uno dei cardini fondamentali attorno a cui si sviluppano le brillanti quanto serratissime dinamiche di gioco di Rainbow Islands. La notevole varietà nell’utilizzo di quest’arma, così genialmente concepita da risultare allo stesso tempo immediata e sorprendentemente versatile, si sviluppa anche tramite coreografiche reazioni a catena. I protagonisti, infatti, non solo possono raddoppiare e triplicare la lunghezza degli arcobaleni tramite appositi power-up e velocizzarne il lancio raccogliendone altri, ma sono anche in grado di disseminare lo schermo con numerosi archi multicolori (fino a un massimo di 8), per poi colpirli o saltarci sopra, generando, in questo modo, un vero e proprio crollo in serie e travolgendo tutti i nemici nei paraggi.
La continuità con Bubble Bobble si rileva, dunque, nell’ingegnosità dell’arma, nella sua natura multi-funzione (anche nel “prequel” le bolle potevano essere utilizzate come moltiplicatori di bonus, temporanee piattaforme semoventi e potenziali mezzi di trasporto) e nella tendenza a moltiplicarsi e “saturare” lo scenario.

Balza all’occhio, poi, l’analoga importanza del fattore tempo che costringe i protagonisti ad affrettarsi, “scalando” velocemente i livelli e raccogliendo il massimo numero di item possibili prima che faccia la sua comparsa la temuta scritta “HURRY” e inizi a salire il livello dell’acqua, letale dal momento che supera il collo di Bubby / Bobby.
In Rainbow Islands, peraltro, torna il gustosissimo citazionismo del “prequel” elevato all’ennesima potenza. Come, infatti, nell’illustre “predecessore” si rilevano diversi omaggi a Space Invaders, così nel “seguito” non mancano isole dedicate ad altri coin-op Taito come Arkanoid, Fairyland Story, Darius e, naturalmente, lo stesso Bubble Bobble.

L’elemento più familiare agli aficionados del titolo del 1986 consiste, in ogni modo, in quella particolarissima atmosfera di magica spensieratezza tanto validamente rappresentata dall’inimitabile, coloratissimo design “cute” che sarà particolarmente apprezzato in diversi arcade hit firmati dallo storico sviluppatore giapponese.

Un prodotto di altissima ingegneria videoludica

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Fukio "MTJ" Mitsuji, dopo l’incredibile successo del suo indimenticabile Bubble Bobble si rimette, dunque, in gioco e osa rimescolare tutte le carte in tavola, creando un nuovo prodotto di altissima ingegneria videoludica: Rainbow Islands.
Una mera elencazione dei pregi di questo travolgente arcade hit sarebbe dispersiva quanto tendenzialmente sterile. Basti dire che, una volta iniziato a giocare, ci si rende immediatamente conto della classe cristallina riscontrabile in ogni dettaglio, in ogni soluzione strutturale, in ogni scelta di design.
Appare subito chiaro come Mitsuji abbia coraggiosamente creato un nuovo capolavoro, lo abbia fatto a distanza di un solo anno da Bubble Bobble e, soprattutto, sia riuscito nell’impresa senza mutuare la struttura vincente di quest’ultimo.
Che il game designer conosciuto per l’acronimo MTJ fosse un genio lo dimostra già il celebratissimo “capostipite” del 1986, ma il suo “seguito spirituale” Rainbow Islands costituisce un’ulteriore prova dell’incredibile inventiva di questo grande nome dell’industria videoludica, purtroppo prematuramente scomparso.

Di primo acchito si potrebbe essere portati a sottovalutare il coin-op delle Isole Arcobaleno, ritenendolo un semplice action-platform dalle dinamiche assolutamente lineari. Nulla di più sbagliato!
Rainbow Islands è un titolo complesso che, come il suo altrettanto illustre “predecessore”, rapisce il videogiocatore in un mondo sorprendentemente articolato (ci sono persino 4 sequenze finali alternative), dove la notevole ricchezza di bonus (ben 42 tipologie differenti), item, power up, trucchi, segreti e dinamiche faranno sì che ogni partita risulti completamente diversa dalla precedente, che l’imprevisto sia sempre in agguato, che lo stato d’animo di chi gioca sia sempre sospeso tra la ridente spensieratezza di personaggi e ambientazioni e la crescente tensione causata dal graduale progredire della difficoltà nel continuo incombere dell’odiatissimo “HURRY”.

Rainbow Islands è un coin-op unico che assorbe interamente l’attenzione di chi lo sfida, sublimando quella che, per tanti altri giochi, è la classica “partitella arcade” in qualcosa che ha più a che vedere con un sogno ad occhi aperti che con una divertente sessione videoludica ad un cabinato da sala giochi.
Quando infine compare l’odiata scritta “GAME OVER” sembra, appunto, di essersi appena risvegliati da un sogno e, se non si decide di giocare ancora, questo titolo ci resta comunque dentro, risuonando nella nostra testa con il brano Somewhere Over The Rainbow (canzone di Harold Arlen datata 1939 e inclusa nella soundtrack del film Il Mago di Oz) in orecchiabilissima versione “cute chiptune” e restando silenziosamente nascosto in attesa di dispiegare d’un tratto tutti i ricordi delle vecchie partite, una volta che si ritorni, anche dopo parecchi anni, all’inarrivabile capolavoro Taito e s’inserisca nuovamente il gettone. E ogni match sarà diverso, una storia a sé con un unico comune denominatore: un notevolissimo, spensierato, assoluto divertimento.

Rainbow Islands nei sistemi casalighi - La Graftgold

Il grande successo del coin-op riecheggia nelle numerosissime versioni domestiche: Commodore 64 / ZX Spectrum / Amstrad CPC (1989 - Graftgold / Telecomsoft), Amiga / Atari ST (1990 - Graftgold / Ocean), Mega Drive (1990 - Aisystem Tokyo / Taito; porting di Rainbow Islands Extra), NES (1991), Master System (1993), PC Engine Super CD-ROM / Turbografx-16 CD (1993 - NEC Interchannel), Fujitsu FM Towns / FM Towns Marty (1992 - Ving / Taito; ancora una conversione di Rainbow Islands Extra), PC / Saturn / PlayStation (1996 - Graftgold / Acclaim; dotato di una modalità opzionale graficamente più ricca e intitolato Bubble Bobble also featuring Rainbow Islands), WonderSwan (2000 - Bandai; porting uscito sotto il titolo Rainbow Islands: Putty's Party), Game Boy Color (2001 - TDK Core / Taito), PC / PlayStation 2 / Xbox (2005 - Empire Interactive / Sega; incluso nella compilation Taito Legends), Mobile (2005 - Taito), Xbox Live Arcade (2009 - Taito; conversione caratterizzata da una grafica “aggiornata” in “2.5D”).

Le versioni Atari ST e Amiga, analogamente a quelle realizzate sugli home computer a 8 bit (C64, ZX e CPC), sono firmate dalla Graftgold. Si tratta di un team inglese di sviluppatori indipendenti fondato nel 1983 da Steve Turner e immediatamente integrato con un elemento del calibro di Andrew Braybrook.
La Graftgold rimane legata alla Hewson Consultants fino al 1988 e, sotto tale etichetta, realizza per gli home e i personal computer del periodo titoli del calibro di: Paradroid, Stormlord, Uridium, Quazatron, Ranarama e Firelord. In seguito il team integra il suo staff con elementi di rilievo come gli ex-Hewson John Cumming, Jason Page, Gary J. Foreman e Dominic Robinson e inizia una breve collaborazione con la Telecomsoft, la divisione software della British Telecom.

I porting su home computer di Rainbow Islands, dunque, sono affidate alla Graftgold dalla Telecomsoft che, analogamente a Bubble Bobble, detiene i diritti sulle conversioni dell’arcade hit Taito. Il team inglese realizza nel 1989 le versioni a 8 bit che sono ben accolte dalla critica per la notevole qualità audiovisiva e la generale accuratezza che le caratterizza.
I porting su Atari ST e Amiga, invece, sono successivi (1990) causa ritardi incorsi per una controversia legale sui relativi diritti. Nel frattempo, infatti, la Graftgold entra nell’orbita della Ocean ed è proprio sotto tale etichetta che tali attesissimi titoli sono pubblicati.
I programmatori incaricati di queste conversioni sono: Andrew Braybrook (coding), John Cumming (grafica), Jason Page (effetti sonori) e Steve Turner (musiche).

Le versioni Atari ST e Amiga

I presupposti per due ottimi porting, dunque, ci sono tutti e infatti, come da copione, si tratta di titoli caratterizzati da una programmazione di alto livello che risentono pochissimo dei classici limiti imposti dal multiformato ST / Amiga.

Dal punto di vista tecnico, infatti, c’è pochissimo da eccepire: tutti i dettagli delle prime 7 isole sono presenti e riprodotti con ammirevole cura, la finestra schermo, pur delimitata in senso verticale, rimane relativamente ampia (320X168 a fronte delle risoluzioni 320X200 -Atari- e 320X256 -Commodore-) su entrambe le versioni anche se non overscan come nel coin-op (320X224), cosa teoricamente riproducibile su Amiga, i movimenti degli sprite non perdono troppo in termini di fluidità nella versione ST, lo scrolling è nettamente sopra la media per quest’ultimo sistema (la versione per il 16 bit Commodore, invece, valorizza il blitter per garantire una migliore quanto leggermente più rapida gestione degli elementi grafici ed evitare i rallentamenti, abbastanza frequenti nella versione Atari), musiche e FX, in proporzione alle potenzialità dei rispettivi chip sonori, sono qualitativamente notevoli e la giocabilità è assolutamente perfetta.

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Il principale problema estetico di queste conversioni è causato dal fatto che la grafica sia realizzata livellando i colori su schermo a 16 (pur ottimamente selezionati e distribuiti), vale a dire al limite della low-res 320X200 dell’Atari ST, senza valorizzare, dunque, le specifiche tecniche dell’Amiga che avrebbero consentito di riprodurre fedelmente la coloratissima grafica del coin-op, delineata con almeno 32 tonalità on-screen.

Dal punto di vista contenutistico si segnala la limitazione a 7 delle isole presenti, essendo state perse nei porting le 3 isole segrete. Purtroppo l’indiscutibile competenza dei programmatori Graftgold si scontra con un limite di soli due dischi (single sided: 360 kB) per la versione ST e di uno (double sided: 880 kB) per quella Amiga e la conseguenza è, appunto, la riduzione del numero dei livelli dai 40 del coin-op ai 28 delle conversioni.

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Nonostante i suddetti compromessi, cui si aggiunge una velocità dell’azione inferiore a quella dell’originale (in particolare nella versione per il 16 bit Atari che risente di una certa tendenza agli slowdowns), Rainbow Islands costituisce una garanzia di eccezionale divertimento anche su ST e Amiga e, tenuto conto dei limiti hardware del primo (mancanza di co-processori per la gestione di scrolling e sprite e chip audio particolarmente “basilare” -praticamente analogo a quello di MSX 1, Amstrad CPC e ZX Spectrum 128/+2/+3-) non si può che elogiare i programmatori per la notevole valorizzazione delle possibilità audiovisive del sistema.


COMMENTO FINALE


Rainbow Islands, coin-op Taito di classe cristallina perfetto in ogni sua parte quanto straordinariamente divertente, continua a brillare nella notevole conversione su Atari ST. Nonostante i limiti hardware di questo sistema, la Graftgold è riuscita a riprodurre magistralmente gran parte dell’inimitabile feeling del coin-op. Malgrado pesi sulla longevità del porting l’assenza delle tre isole segrete, sacrificate sull’altare dei limiti di memorizzazione imposti ai programmatori, Rainbow Islands su Atari ST garantisce in ogni modo molte ore di sano e spensierato divertimento arcade e costituisce un titolo assolutamente irrinunciabile per i possessori di questo home computer.

Alessio "AlexTheLioNet" Bianchi





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