La pantera evidentemente è come il maiale
Trevor McFur in Crescent Galaxy coverNon si butta via niente, almeno secondo le tradizioni di casa Atari. Proprio come accaduto per Raiden, Trevor McFur in Crescent Galaxy nasce dalle ceneri di un'altra console che doveva chiamarsi Panther, prevista in uscita nei primi anni Novanta e poi accantonata per consentire al Jaguar di ottenere tutte le attenzioni necessarie alla preparazione di una macchina competitiva. Sul vecchio Panther, incentrato sulla CPU 68000, si stava comunque sviluppando qualcosa, anche per fornire a pubblico e softco interessate un minimo di tech demo come incentivo agli investimenti, ed il titolo in esame doveva essere uno di quelli pronti al lancio della console, salvo poi ritrovarsi sospeso in un limbo per ben due anni. Il motivo della resurrezione del progetto, però, non è dei più onorevoli: la Atari era nei guai fino al collo e non aveva investito in un gruppo assortito di programmatori “first-party”, ritrovandosi con un Jaguar nuovo fiammante ma senza nessuno disposto ad occuparsene.
Non si poteva lanciare una console senza qualche videogioco dedicato! Quale idea migliore, a questo punto, di riprendere quei vecchi videogames per il Panther, completarli ed offrirli sulla nuova piattaforma a 64 (fasulli) bit?


Cà nisciun è fess!
Sarà pur vero che la massa dei videogiocatori possa avere qualche tendenza a farsi abbindolare, ma per vendere qualcosa di vecchio e poco brillante al prezzo del nuovo e buono bisogna davvero impegnarsi ed il Jaguar proprio non ce l'ha fatta. Un discutibile spot televisivo rivendicava la superiorità dell'hardware in virtù della capacità di poter eseguire alcune istruzioni a 64-bit, fatto invece per nulla correlato alle prestazioni reali ottenute dai coder che dovevano fare i conti con una complessa e buggata struttura multicore assolutamente inedita per l'epoca. E se la tizia in TV urlava a squarciagola “Do the Math” (più o meno “fai i conti”), riviste e televisioni proponevano immagini e filmati di sparatutto caratterizzati da ritmo blando e grafica da Super Nintendo. Tra questi, manco a dirlo, c'era Trevor McFur in Crescent Galaxy! Non casualmente, il pubblico dei videogamers rimase assolutamente indifferente alla pubblicità.

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The name is McFur. Trevor McFur.
Purtroppo, il titolo di questo paragrafo non è una mia squallida e prevedibile battuta per introdurvi alla trama del gioco, ma proprio quella usata sulla confezione del prodotto. I punti di contatto con l'agente segreto britannico semplicemente non esistono, ma è un tentativo di caricare di personalità un protagonista che fatica a ritagliarsi un minimo di carisma. Trevor McFur è un caporale della flotta interstellare del pianeta Cosmolite, il quale è stato preso d'assalto e conquistato dal cattivissimo Odd-It, che potremmo in qualche maniera tradurre come “Lo Stravagante”. In realtà, col suo seguito di alieni scalmanati ha preso possesso dell'intero sistema, composto di cinque pianeti, che dovremo ripulire completamente. Nel corso della nostra avventura avremo modo di conversare a più riprese con altri personaggi come il nostro comandante o il nostro “wingman” costruendo dialoghi di un'inutilità disarmante. La peculiarità di questi character è l'essere tutti dei felini (da qui il McFur del titolo): c'è una lince, un leone... ma indovinate cos'è Trevor? Bravi! Un bel giaguaro! Tristezza a palate...

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Il tentato assassinio dello shoot'em up
Con l'arrivo delle piattaforme a 32-bit si metteva male per questa particolare categoria ludica, ma è chiaro che prodotti come questo non potevano essere più controproducenti di così. L'horizontal shooter ha una storia nobilissima che ha percorso ogni decennio, presentandoci la severità di linee e meccaniche di Defender, il raggio distruttore di R-Type o la poesia di Agony. Un genere che non ha conosciuto barriere di continenti e piattaforme, sebbene i migliori esemplari avessero passaporto nipponico e residenza su console, e tutto ciò perché le regole del buon shoot'em up sono poche e molto semplici: bisogna sparare e non essere colpiti, ai designer rimane solo il compito di preparare scontri esaltanti ed una cornice decente.
I ragazzi delegati dalla Atari per la programmazione di Trevor McFur, però, non erano in confidenza con questo tipo di prodotto: vi basti pensare che l'autore principale, Eric Ginner, si era occupato in passato di adattamenti di svariati coin-op per il portatile Lynx come Rampart, certamente molto buoni, ma una conversione evita tutto il discorso riguardante il game design. Con Trevor McFur, invece, il povero Eric doveva inventarsi dei livelli, schemi di attacco, boss finali, e l'inesperienza si nota, purtroppo.
La partita comincia con la selezione dello stage fra una scelta di quattro pianeti (ricordate Star Fox?), mentre al centro della mappa campeggia uno più grande che rappresenta il livello finale, accessibile solo dopo aver completato gli altri. Selezionato uno, bisogna prima affrontare un preludio determinato dal viaggio verso il nostro obiettivo, di conseguenza ambientato nello spazio, e questo livello si ripresenterà anche quando passeremo agli stage successivi. Tale intermezzo è di una noia letale: ci spetta attraversare il cosmo per oltre cinque interminabili minuti distruggendo pericoli rappresentati perlopiù da asteroidi in rotta di collisione ed altri oggetti rigorosamente inorganici che non fanno altro che muoversi in linea retta; i pochissimi nemici “vivi” si limitano a seguire un unico banalissimo schema di movimento ed attacco. Una volta attraversata l'atmosfera del pianeta sarebbe lecito sperare in un cambiamento che purtroppo è minimo: i nostri avversari migliorano solo perché risultano più caratteristici, mentre i loro pattern di attacco rimangono estremamente rigidi e poco ispirati. Noia siderale.
Chissà se qualcuno fra voi ricorda il SEUCK, un geniale editor di sparatutto per Commodore 64 della Sensible Software che consentiva agli utenti di realizzare dei giochini che, però, risultavano alla fine troppo scriptati e simili fra di loro. Ecco, Trevor McFur sembra uno di essi, con la differenza che con il SEUCK si potevano costruire solo “vertical shooter”.

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Attraversa la frontiera dei 64-bit!
Anche questa frase la prendiamo dalla confezione del gioco. 64-bit? I proclami riguardanti questo titolo sono un festival di prese per i fondelli, un po' come tutto il fallimentare marketing approntato dalla Atari. Innanzitutto, come anticipato, questo gioco nasce per il Panther che era un 16-bit e tutto lascia supporre che anche nell'architettura del Jaguar esso si limiti a sfruttare unicamente la CPU 68000, anche per facilità di trasposizione, con buona pace di tutta la rimanente e più interessante componentistica. Poi, c'è un'altra frase mistificatrice: “rapido rendering 3D”. In Trevor McFur tutto è precalcolato e forse quelle parole intendono indicare un reparto visivo interamente realizzato con l'ausilio di programmi di computer-grafica 3D, invece che disegnato a mano. I risultati, però, sono tristissimi a causa di una direzione artistica confusa ed impreparata. Manca un'identità e quel che si trova è un baraccone di elementi sci-fi che si uniscono al fantasy con più di qualche concessione al non-sense, specialmente in un livello ambientato... sulla parete di una scuola materna? Sul dipinto di un bambino? Onestamente, davvero non saprei.
Il coding in senso stretto del gioco, per fortuna, è valido e denota le apprezzabili qualità di Eric Ginner sul campo puramente tecnico: non si riscontra mai un rallentamento e lo schermo pullula di nemici spesso veramente grossi. I boss di fine livello, poi, sono enormi e non mettono in difficoltà la solidità della programmazione. Il fluidissimo scrolling, purtroppo, è costretto a muovere fondali bruttissimi che difettano tragicamente di profondità al punto da sembrare piuttosto dei cartonati scorrevoli. Sullo sfondo, infatti, l'orizzonte è lontano ma scorre tutto alla stessa velocità, restituendo una sensazione di piattezza ancora più fastidiosa. Il parallasse, infatti, è limitato ad un solo strato ma è utilizzato esclusivamente per muovere elementi in primo piano. Più che di trovarsi di fronte ad un 64-bit, si ha l'impressione di essere tornati indietro di qualche anno, di fronte ad alcuni shooter per Amiga o più in generale a quei titoli ben programmati che dovevano comunque rinunciare a qualche feature tecnica avanzata per limiti dell'hardware. Peccato che il Jaguar fosse, incredibile dictu, l'ultimo ritrovato tecnologico.

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Miscellaneous
Ora potrebbe essere duro crederci, ma c'è qualcosa di apprezzabile in Trevor McFur in Crescent Galaxy: gli oggetti bonus. Quando colpirete determinati nemici, infatti, verranno rilasciati degli item che potranno essere dei potenziamenti per il vostro sempre e comunque umilissimo cannone oppure smart-bomb, scudi o armi secondarie. Ve ne sono un bel po', con alcune valide idee come la calamita che passando attira a sé ogni avversario o il supporto momentaneo di un alleato. Davvero nulla di clamoroso, ma mi sono sforzato di cercare un pregio...
Tornando al trash, allora, meritano un plauso le musiche: insulse! Fra l'altro, ce ne sono appena due: un title-theme ed un brevissimo accompagnamento per la selezione del livello. La cosa buffa è che nei “credits” compaiono tre (TRE!) addetti all'audio, e vi assicuro che neppure agli effetti sonori sono state riservate particolari cure. I due brani presenti si distinguono per l'abuso di “bip” vari intesi per ricreare un'atmosfera di fantascienza spensierata ed un po' infantile, ma si fatica a distinguere una melodia qualunque.
Anche se in molti potrebbero perdere anzitempo la voglia di proseguire nel gioco, è bene sapere che la difficoltà della sfida è solo apparente. I cinque stage più gli altri cinque viaggi interplanetari vanno affrontati tutti alla stessa maniera dato che i nostri nemici cambiano nella forma e non nel comportamento, di conseguenza si imparerà presto ad evitare i pericoli e salvare puntualmente la pelle. Fanno eccezione, e non sempre, solamente i boss, ma scaricando un po' dei bonus raccolti periranno in men che non si dica.


Videorecensione


COMMENTO FINALE


“Una non completamente deprecabile esecuzione tecnica viene brutalmente umiliata dalla pochezza assoluta del gameplay, dozzinale come non mai. Trevor McFur in Crescent Galaxy è un insieme estremamente disordinato di idee orfane di una direzione artistica degna di chiamarsi tale. I grossi sprites e lo scrolling fluido cozzano contro un fondale senza profondità che caratterizza livelli in cui veniamo attaccati secondo schemi rigidissimi e facilmente memorizzabili, il che riduce la longevità. Che brutta sorpresa aver trovato al lancio del Jaguar uno sparatutto di una banalità assoluta. Il preludio perfetto di un destino segnato.”