Come già accennato, Capcom raccolse l’eredità di Double Dragon per poi levigarla e proporla al grande pubblico riscuotendo un successo maggiore, istituzionalizzando così il genere del fighting game orizzontale. Ciò che fece staccare questa tipologia di gioco di combattimento da quello classico ad incontri fu lo spazio percorribile dai lottatori: più precisamente, venne preso il ring dei titoli wrestling e questo venne esteso sullo stampo degli stage di natura platform, conservandone tuttavia le peculiari dinamiche degli scontri. Tutto questo comportò quindi la geniale compenetrazione tra la multi direzionalità dei tenzoni, tipica del wrestling videoludico, e l’esplorazione orizzontale del mondo platform. Per certi versi, il Karateka classe 1984 di Jordan Mechner era già andato molto vicino ad una simile concezione ma quel prodotto, proprio per le dissimili logiche dei duelli, finì per evolversi nel picchiaduro ad incontri di cui sempre Capcom, tra l’altro, fu tra le regine indiscusse.
Il gameplay di Captain Commando rispetta dunque fedelmente i canoni imposti da Final Fight, canoni che non sono altro che perfezionamenti del materiale già presente in Double Dragon. Dai tre pulsanti di quest’ultimo si passa a soli due tasti, uno per l’attacco (singolo colpo o combo a seconda del numero di pigiate) e l’altro per il salto. La medesima coppia di tasti, se premuti simultaneamente, è in grado di produrre una mossa speciale spazza tutto in cambio di una piccola fetta di energia. Con questi accorgimenti il ritmo si fa quindi più frenetico rispetto ai prodotti precedenti. Per questo motivo è ora visibile anche la barra vitale degli avversari, per una maggiore e rapida pianificazione degli scontri, così come sono semplificati il sistema delle prese, la cui esecuzione necessita solo della sovrapposizione con l’avversario, e il team up con gli amici che combattono sì in contemporanea ma senza collaborare (in Double Dragon era possibile bloccare un nemico alle spalle per farlo colpire dal compagno). Si affina maggiormente la caratterizzazione dei personaggi selezionabili il cui numero, rispetto al trio di Final Fight, sale di un’unità: il protagonista occhialuto è una figura storica, tanto da diventare nel tempo un’icona Capcom, ed è colui che da nome al gioco: Captain Commando. Trattasi della tradizionale figura bilanciata del lotto di lottatori adatta ai principianti, né forte né debole, né lento né veloce. Gli si affiancano poi due personaggi, accumunati dall’essere probabilmente i meglio delineati e gratificanti ovvero il ninja e una mummia decisamente funky. Chiude il cast quello che è sicuramente il combattente più macchinoso da utilizzare, un bebè alla guida di un mech vale a dire Baby Commando.
Parallelamente ad altri successivi picchiaduro a scorrimento, anche in questo caso ritroviamo l’opzione stilistica di un grottesco universo cyberpunk dove, partendo da elementi urbani o naturali famigliari (la banca, il museo di scienze naturali, il porto, le caverne) si assiste ad un amorale abuso tecnologico sempre più crescente al punto da coinvolgere sia i nemici che le ambientazioni. I protagonisti stessi oscillano in questa logica delle contraddizioni che vede un infante meccanizzato, una mummia agghindata per due tiri a canestro in strada, un ninja medievale e il capo della ciurma, uno sceriffo dalla tuta speciale alquanto kitsch. Gli avversari, dal canto loro, rispecchiano una scienza “sfuggita di mano” in grado di creare esseri tra l’umanoide e il mostruoso per certi versi molto simili a quanto visto nella celebre e robotica serie animata di Daitarn 3, meganoidi inclusi. A sottolineare le deviazioni aberranti della ricerca, si aggiunge una componente piuttosto splatter completamente assente in Final Fight. Rispetto a quest’ultimo, si registra anche una maggiore varietà nella tipologia di armi e mezzi trovati sul posto: niente di sconvolgente, sia chiaro, ma sufficiente per scostarsi un minimo dall’approccio mnemonico degli scontri corpo a corpo. Senza dilungarci nel descrivere un gameplay conosciuto pure dai sassi, annotiamo la presenza di una difficoltà equilibrata anche se forse non sufficientemente ardua per gli esperti. Grazie anche alle animazioni, più fluide e varie rispetto al recente passato, Captain Commando risulta essere un beat’em up a scorrimento godibile e frustrante il giusto. Come già detto, rispetto a Final Fight, l’incedere nell’avventura è anche leggermente meno statico per quanto ovviamente schematico dato il genere d’appartenenza. Si prende atto, infine, di un multiplayer estendibile fino ad un massimo di quattro giocatori con tutto ciò che ne consegue in termini strategici e di puro divertimento. Roba da non trascurare affatto.
Graficamente stiamo parlando di un lavoro che è tra i primi rappresentanti di quello stile figurativo, riconoscibile e prettamente Capcom, che accompagnerà la casa nipponica nei dorati, per lei, anni ’90. Costruito sulla prima versione della storica scheda CPS (Capcom Play System), Captain Commando mette in mostra quell’estetica bidimensionale, assai colorata, tamarra e formalmente basilare, che distinguerà tutte le proprie produzioni 2D uscite nel decennio in questione. Non è quindi esattamente un caso che, in quegli anni, la software house giapponese abbia spesso sposato progetti legati ai fumetti trovando facilmente un punto di raccordo proprio nell’aspetto visivo divenuto nel tempo vero marchio distintivo. Ovviamente l’influenza di Final Fight sulla cosmesi generale è inevitabile oltre che palpabile (vedersi per esempio l’identica rappresentazione della mappa degli stage) ma globalmente si percepisce una qualità maggiore rispetto a quest’ultimo grazie ad un netto incremento di dettagli, animazioni e dimensioni. I protagonisti infatti, così come le varie ambientazioni, denotano un miglioramento, non solo in termini quantitativi, ma anche a livello puramente grafico con anatomie e volumi vistosamente più raffinati e precisi. Questo perfezionamento sarà destinato a crescere sempre più tuttavia, a distanza di un ventennio, la baracca riesce a reggere ancora brillantemente. Ciò che probabilmente mostra il fianco alla critica è invece il character design degli avversari, soprattutto quello dei boss, i quali non erano memorabili allora quindi figuriamoci adesso. Anche il profilo sonoro forse non è il massimo annoverando effetti nella norma e musiche non in grado di incidere al di fuori del contesto dei ceffoni.