Come da tradizione, il concept del gioco Sega riprende gli elementi di semplicità ed immediatezza di gameplay che caratterizzavano i precedenti capolavori di Yu Suzuki ed infatti questo Galaxy Force, in fondo, è un “semplice” sparatutto tridimensionale (alla Afterburner, per intenderci) in cui dovremo pilotare un caccia spaziale armato di laser e potenti missili a ricerca nel tentativo di sbarazzarci dei nostri nemici e/o degli ostacoli che incontreremo lungo i cinque differenti pianeti/livelli di gioco, affrontabili in qualunque ordine (più una sesta missione “finale” che si sblocca una volta portati a termine i cinque livelli precedenti), nei quali ci troveremo a vivere la nostra epica avventura spaziale.
Tutto qui, senza tanti fronzoli, privo di nessuna ulteriore complicazione o velleità simulativa: un gioco alla vecchia e divertentissima maniera!
Tuttavia, come ogni gioco Sega di quel periodo, ciò che poneva Galaxy Force II in una posizione di predominio assoluto nelle sale giochi (e allo stesso tempo lo proiettava svariati anni avanti nel tempo) era l’incredibile realizzazione tecnica!
Il coin-op, oltre a prevedere una struttura idraulica semovente con tanto di vibrazioni e repentini cambi di direzione (Afterburner docet…), sfoggiava una grafica straordinaria ed evocativa. Sfruttando al limite il potenziale della propria tecnologia dedicata del tempo, i programmatori Sega sfornarono letteralmente un capolavoro (sì, in effetti questa espressione è abusata ma in questo caso assolutamente fedele alle qualità del gioco) in un trionfo di sprite (la ben nota “bubble technology” di “suzukiana” memoria) enormi, coloratissimi e dettagliati in modo stupefacente che conferivano al tutto un’atmosfera immersiva e coinvolgente in grado di trasportare il giocatore, la cui sospensione dell’incredulità in questo gioco raggiunge forse una delle vette più alte, in mondi lontani milioni di anni luce dalla Terra (e dagli altri comuni shooter del periodo…); il tutto ovviamente senza che il motore del gioco ne risentisse minimamente e di conseguenza tutto scorre via davanti ai nostri occhi estasiati da cotanto spettacolo senza il benché minimo sfarfallio o rallentamento in caso di sovraffollamento di oggetti: navi stellari gigantesche e panorami alieni mozzafiato in un tripudio di esplosioni e scie di vapore dei missili sullo schermo.
Sembra incredibile ma il livello di dettaglio è così elevato ed il tutto schizza via a video in una finta tridimensionalità simulata in modo talmente perfetto che non si ha il minimo rimpianto (al giorno d’oggi) della tecnologia poligonale texture-mappata. Le tonnellate e tonnellate di “bolle di sprite” ed i centinaia di frame d’animazione difatti rendono Galaxy Force II uno dei più impressionanti e potenti arcade mai realizzati e sicuramente quanto di meglio esistesse per l’epoca nella quale uscì (il 1988!).
Tuttavia, come era buona tradizione di Sega, il gioco non era soltanto un’orgia di cromatismi, dettagli e bellezza grafica ma affascinava anche per la sua immediata e godibilissima giocabilità, la sua frenetica e coinvolgente furia blastatoria.
Il gioco “ti prendeva” immediatamente e non ti lasciava fino all'esaurimento di tutte le monetine ed anche allora ti ripromettevi che il giorno successivo avresti finalmente raggiunto e polverizzato a suon di laser e fotoni a ricerca il boss finale, e se non fosse stato quel giorno, allora un altro ancora ed ancora.
In definitiva Galaxy Force II è un’esperienza memorabile derivante da un perfetto mix di supremazia tecnologica, fantastica atmosfera ed altissima giocabilità, riconfermando l’allora schiacciante predominio di Sega come produttrice di giochi da sala in modo brutale (per “potenza”) e sfacciato (per la “semplicità” con la quale produceva giochi incredibili) rispetto alla concorrenza (fosse stata essa Capcom, Taito, o Konami…) che, infatti, non osò più (o mai..) neanche competere sullo stesso campo (vedasi ad esempio il gioco “Top Speed” di Taito, clone di Outrun…).
Date le sue straordinarie qualità videoludiche Galaxy Force II ebbe, neanche a dirlo, un grande successo di pubblico e, di conseguenza, fu presto convertito sui principali sistemi da gioco domestici dell’epoca.
Di seguito ecco dunque una carrellata delle versioni ad 8 e 16 bit del fantastico coin-op Sega.
C64
Spectrum/Amstrad CPC
Le note caratteristiche tecniche del computer Sinclair non consentirono di poter sperare più di tanto, e la versione su ZX rappresenta, a distanza di anni, semplicemente una curiosità cui dare un’ occhiata. Il gioco in sé è abbastanza buono (leggermente migliore della versione per C64 poiché, sebbene praticamente monocromatico, il gioco presenta fondali e nemici con maggiore definizione e dettaglio), ma chiaramente non ha nulla a che vedere col coin-op originale.
Per quanto riguarda la versione Amstrad c’è da dire che quest’ultima, come al solito per l’epoca, deriva direttamente da quella per Spectrum ma con più colori. Tuttavia a differenza di altri adattamenti diretti da ZX, in questo caso il gioco risulta fluido e di buon livello e, tra gli home computer ad 8 bit, questa è sicuramente la versione migliore.
Sega Master System
Essendo perfettamente consapevole dell’impossibilità di riprodurre il gioco originale sull’hardware del suo Master System (console ad 8 bit), Sega decise che questa versione sarebbe stata, più che una riduzione, un reinterpretazione del coin-op.
Galaxy Force diventa dunque un gioco che riprende l’ambientazione e la caratteristica di fondo (essere uno sparatutto) dell’arcade ma il tutto ha un “sapore” abbastanza diverso ed alcuni elementi fondamentali della meccanica di gioco risultano modificati e/o assenti, come ad esempio il controllo della velocità del nostro caccia spaziale con conseguente eliminazione del “timer energetico”. In pratica, su Master System Galaxy Force risulta essere uno shoot ‘em up del tutto convenzionale con inquadratura in terza persona (facendo un paragone abbastanza calzante, è molto più simile a Space Harrier che ad Afterburner…). Graficamente il gioco è colorato e abbastanza ben dettagliato ed il tutto è ben riuscito, sebbene la scarsa e non reattiva manovrabilità della navicella nelle scene “al chiuso” e l’impossibilità di adeguare la velocità in base alla conformazione del livello, ne pregiudicano in modo abbastanza significativo la giocabilità.
Amiga/Atari ST
Diciamo comunque che, nonostante non sia un brutto gioco, soprattutto su Amiga qualcosina in più poteva essere comunque fatto.
Megadrive
Diciamo subito che se non fosse stato per la brutta realizzazione dei livelli all’interno dei tunnel e delle basi sotterranee, questa versione avrebbe potuto essere sicuramente la migliore tra tutte quelle pubblicate per il mercato casalingo. Invece, anche in questo caso abbastanza inspiegabilmente, Sega decise di optare per una rappresentazione di tali stage appunto decisamente TROPPO semplicistica e priva di dettaglio; in alcune schermate di gioco, infatti, le strutture sotterranee eccezionalmente dettagliate del coin-op originale diventano dei miseri e scialbi “rettangoli” di linee raster in sequenza, utilizzate per dare l’illusione del movimento e della velocità.. Purtroppo questo non è soltanto un dettaglio ma incide abbastanza pesantemente nella valutazione del gioco poiché i livelli sotterranei rappresentano circa la metà dell’intero gioco! In ogni caso, il resto è veloce e piuttosto giocabile e ripropone in modo abbastanza fedele il feeling dell’originale che, però, resta per qualità e quantità irraggiungibile.
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