Da quel momento, SF è assurto all'invidiabile status di “titolo preferito” nella mia ipotetica hall of fame. Ma tale idillio venne ad interrompersi quando, nel ritrovarlo svariati anni dopo, ne rimasi delusissimo: la grafica non appariva sfolgorante come rammentavo, la meccanica risultava troppo inflessibile, ed il gioco era in ultima analisi piuttosto insoddisfacente. Ecco come distruggere in un attimo un bel ricordo, l'idealizzazione di un videogame cui si è legati che cozza con una visione critica maturata, assuefatta al progresso che nel frattempo il genere ha avuto. Ed è con questo animo che mi ritrovo a scrivere di SF: da un lato ciò che ha rappresentato al momento dell’uscita, dall’altro quello che è oggi. Perché, via il dente via il dolore, il tempo col beat’em up Capcom è stato impietoso. Come picchiaduro inteso letteralmente, per sfogarsi, pestare senza tanti fronzoli, riflettere, elucubrare strategie o quant’altro, può risultare ancora un discreto ed istintivo divertissement. Ma di tutta la magnificenza del passato non è rimasto quasi nulla, se non a livello puramente embrionale: personaggi abbastanza grossi ma non sempre dotati di una caratterizzazione convincente, sfondi discreti, la cui varietà è intaccata da una certa discontinuità nella resa e una palette un po' smorta e acida, per quanto il parallasse faccia la sua figura. Le musiche manco si riesce a sentirle, sovrastate dagli FX e forse è meglio così, perché da quel poco che si intuisce non sono granché, a tratti fastidiosamente stridule. I pre-potenti effetti sonori almeno riescono nell'intento di esaltare e galvanizzare, coi bassi sparati a mille e il parlato sporco e semi-incomprensibile ma roboante. Insomma, audio fracassone, rumoroso, tamarro, ma durante i combattimenti il casino che fanno le casse ci sta a pennello e va a braccetto col rozzo gameplay.
Ma il vero tallone d'Achille di SF (e paradossalmente, il suo appiglio) è la citata seminalità, con una miriade di idee interessanti che abbisognavano di essere sviluppate a dovere. Non tutto totalmente originale, visto che alcuni spunti erano già stati espressi in prodotti antecedenti (vedasi Yie Ar Kung Fu di Konami), tuttavia se c'è da fissare un punto X nella storia dei picchiaduro uno contro uno, un gioco che ha fatto da spartiacque tra vecchio e nuovo, contribuendo ad influenzare coi suoi dettami un intero genere, non bisogna andare oltre il titolo Capcom. Gli avversari diversificati nella nazionalità, nello stage e nella tecnica di offesa, lo speaker che con timbro cavernoso e possente enfatizza la presentazione dell'incontro, il campionario vocale che rende ogni round una serie di urla galvanizzanti, i quadri bonus che permettono di rifiatare tra i vari furiosi combattimenti, e le imprescindibili mosse speciali, la vera svolta, ottenibili in maniera inedita, con un movimento particolare del joystick (per quanto non precisissimo) quasi fosse realmente il giocatore ad effettuarle. Aspetti meritori di perfezione ma, nonostante un certo pressapochismo, già presenti, e ai tempi sufficienti a lasciare basiti. Ma dietro tutto questo era la sostanza a latitare. Ed è difficile chiudere un occhio, ora che tecnicamente non si può rimanere abbagliati. Ci sono titoli vetusti che conservano tutt'ora il loro valore, certo, smussato dal tempo, ma riuscendo ancora a mostrare, non dico i muscoli, ma un fisico in discrete condizioni. Qui, nonostante le attenuanti di cui sopra, la sostanza è pochina. SF oggi non avrebbe ragion d'essere, limitato com'è tatticamente, a tratti addirittura casuale. Probabilmente il codice per programmare una sola mossa di un Terry Bogard qualunque è pari a quello per realizzare l’I.A. dell'intero gioco Capcom.
Ed è questo punto che, parafrasando il buon Lubrano, “la domanda nasce spontanea”: quanto può essere valido un beat'em up in cui l'unico modo per proseguire è ripetere ciclicamente la stessa mossa? Si potrebbe malignare che lo stesso accade in Double Dragon con la gomitata, ma lì tale colpo è una scelta del giocatore, che può farne a meno e godere in egual misura del gioco, pur con una difficoltà maggiorata; in ogni caso tale combinazione va utilizzata con una certa dose di tempismo. Qui la palla di fuoco e, ancor meglio (o peggio, a seconda di come la si guardi), lo shoryuken, il mitico pugno del drago, sono un obbligo, una pratica da eseguire ad libitum dal fatidico "fight" finché il nemico non stramazza al suolo, e richiedono solo un minimo di abilità manuale: ripetendoli di continuo prima o poi si riesce a beccare l'avversario. Ai tempi, vista la concorrenza, e la sproporzione grafica con gli altri titoli (per lo più giochini di karate) tanto bastava, vedere contrapposto al buon Ryu un enorme energumeno, la sublimazione della cattiveria concentrata in quell'unico opponente, senza petulanti scagnozzi al seguito, per una leggendaria lotta senza quartiere. Una sorta di sfida all'Ok Corral, solo che, tolti tutti gli orpelli, ci si rende conto che invece della Colt, l'arma in dotazione al giocatore è una devastante Uzi. Difatti l’utilizzo delle mosse normali, che pure annoverano ben tre diversi tipi di calci ed altrettanti pugni, è altamente sconsigliato, a meno di non avere istinti suicidi (o conoscere alcuni trucchetti).
Bocciatura su tutti i fronti quindi? Ni. Perché un po' come Alone in the Dark (tutt’ora intriso di un’incomparabile atmosfera, ma oggettivamente mediocre da vedere e giocare) è stato un mito dalle cui ceneri sono nati i survival horror, emanando un fascino pionieristico verso cui si avverte timore reverenziale, percependo di avere a che fare con un prodotto che trascende la sua stessa natura di videogame, parimenti SF è stato il progenitore di "voisapetecosa". Vero, il seguito più che il diretto discendente, sembra un figlio adottivo, tanto è lapalissianamente superiore, ma questo non può stravolgere la realtà dei fatti; da lì è venuto tutto il resto, una intera decade e passa caratterizzata da questa tipologia di giochi e ancora adesso, il quarto capitolo a ricordare che quella storia è tutt’altro che conclusa. Insomma, preso a sé stante, SF è incompleto ed insoddisfacente in molti settori, un picchia picchia ignorante e fisico cui dedicare al massimo qualche minuto, probabilmente più per interesse storico che altro. Tuttavia il solo fatto di avere un legame di sangue col successore, e di aver contribuito alla nascita di quello storico periodo, unico ed irripetibile, è un merito che gli basta a strappare quantomeno la sufficienza. Perché senza di lui il mondo videoludico non sarebbe stato lo stesso, non dico peggiore, quantomeno diverso; la sola certezza, è che non avremmo vissuto gli stessi entusiasmanti ricordi cui noi gamers di lunga data siamo indissolubilmente legati. E, fosse anche solo per questo, bisogna rendergli onore al merito.
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