Space Fury fu il primo gioco pensato per questa scheda e, per non rischiare un flop alla prima uscita, la Sega si indirizzò verso un gameplay dalla resa garantita, attingendo a piene mani da Asteroids. Ma non è un semplice clone ciò che Space Fury pretende di essere, offrendoci un'azione dal gusto sicuramente personale.
La prima cosa che risalta agli occhi, una volta inserito il gettone, è il faccione alieno che ci parla fissandoci, felice di incontrare un nuovo avversario. Dai tempi di Berzerk, il parlato in sala giochi viveva un florido momento, costringendo ogni software house a trovare un (largo) posto per la sua implementazione all'interno di quelle striminzite memorie. Space Fury mostra un codice di meno di 40 kilobytes e nonostante ciò riesce ad offrirci una manciata di frasi, del resto pure abbastanza lunghe e con una resa che appare più nitida del solito.
Non è soltanto il sonoro a motivare il gradimento ma anche il sapiente utilizzo delle appena acquisite abilità cromatiche dei vettori: nel rispetto dei limiti artistici contemplati da una grafica fatta di linee, il volto dell'alieno è ottimamente animato e soprattutto ricco di colori, abbozzando gradevoli sfumature che tanto sorprendono.
Il gioco in sé è indubbiamente meno spumeggiante. Non come ritmo, intendiamoci, ma come giocabilità vera e propria. Prima di tutto, prendete Asteroids e toglieteci i meteoriti che si frantumano; aumentate la grandezza della vostra nave spaziale ed aggiungeteci la capacità di sceglierne la configurazione di sparo; infine, inserite dei nemici capaci di organizzarsi. D'accordo, a conti fatti ci sono delle importanti introduzioni che, effettivamente, distaccano il prodotto Sega da quello Atari, ma la categoria è la stessa. Resta il fatto che Space Fury è molto meno giocabile e che tornare a fare una partitina ad Asteroids vi sembrerà un atto di estremo rilassamento. Perchè? Perchè Space Fury è dannatamente difficile, un maledetto mangiamonete che espone i vostri nervi ad un costante logorio. Per capirne il motivo torniamo agli aspetti inediti che reca con sé: abbiamo detto che è possibile personalizzare la tipologia del nostro sparo e questo avviene all'inizio di ogni livello tramite l'aggancio di alcuni specifici moduli compatibili con la nostra nave. Potremo usare ogni modulo soltanto una volta, di conseguenza sarà strategicamente importante adottare quello più opportuno a seconda del livello che andiamo ad affrontare. Questi moduli sono veramente grossi e la nostra nave comincia ad occupare una porzione rilevante dello schermo, problema che, abbinato alle generose dimensioni dei nemici, ci pone di fronte a rischiosissime collisioni con i mezzi avversari, molto più rapidi degli inermi asteroidi della Atari. Questi famosi moduli ci propongono un fuoco di tre tipi: triplo sparo frontale, singolo frontale-doppio laterale e singolo frontale-doppio posteriore. Sarebbe stato interessante avere a disposizione una serie di livelli fortemente differenziati per dare sfogo alle tante possibilità strategiche di tale caratteristica, ma qui ognuno dei quattro quadri varia solo per l'aggessività e la forma dei nemici, portandoci semplicemente a scegliere l'arma con cui ci si trova meglio per affrontare i livelli più ostici.
Diciamolo pure, è uno spreco. Anche la suddivisione del gioco in pochi schemi, pure brevi, ha delle repentine influenze sulla difficoltà generale che risulta tragicomicamente squilibrata: i primi due stage sono delle pure formalità, mentre il terzo presenta un notevole numero di nemici che si riproducono piuttosto frequentemente, mettendo a dura prova i vostri riflessi. E' un livello ostico, ma non assurdo come il quarto in cui verremo presi d'assalto da ogni direzione e dove il nostro unico obiettivo sarà di rimanere in piedi per i cinquanta secondi disponibili per il completamento di ogni livello. Già, c'è un limite temporale che, una volta esaurito, non ci condurrà ad un prematuro game over ma al passaggio dello stage. Il problema è arrivarci, considerata la velocità dei nemici e la loro capacità di associarsi per formare unità più pericolose: il nemico base è “trasparente”, nel senso che la collisione con esso sarà innocua; quando quattro di essi si uniscono, formano un avversario più grande, capace di distruggerci al minimo contatto ma, soprattutto, in grado di lanciare letali palle di fuoco. Ciononostante, il nemico più pericoloso è quello incompleto: quando le unità avversarie non riuciranno ad associarsi completamente, fermandosi a due o tre, daranno vita ad una nave incapace di sparare ma che, per distruggerci, si catapulterà nella nostra direzione.
Provate a pensare a quanto possa essere complicato gestire tale varietà di nemici in un'area piuttosto ristretta e con un mezzo soggetto ai soliti problemi di inerzia derivati da Asteroids. Solo così avrete un quadro approssimativo di quanto frustrante arrivi ad essere Space Fury, soprattutto pensando al suo utilizzo in sala giochi con partite che difficilmente si protraevano oltre il paio di minuti.
Peccato per la Sega aver sprecato le valide risorse tecniche della sua nuova scheda con un prodotto che, per cercare di assomigliare ad un grande classico rinnovandone il gameplay, finisce con l'adottare introduzioni sbagliate che conducono ad una sfida eccessivamente punitiva.
Rimane il bellissimo alieno iniziale. Lui sì che meritava il gettone!
Altre versioni
La tiepida accoglienza da parte del pubblico ha precluso a Space Fury la via che conduceva alle console più famose. Ne fu prodotta, ad ogni modo, una tarda conversione per Colecovision, in realtà abbastanza distante dall'originale da sala a causa di una grafica bitmap che ne snaturava profondamente l'essenza.
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