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ID: 252159Oggi per un appassionato di videogiochi horror non c'è che l'imbarazzo della scelta, eppure qualche annetto fa la situazione era ben diversa. Prima dell’avvento di Alone in the Dark e del filone dei survival horror da esso generato (rigenerato a sua volta da Resident Evil), quando cioè a farla da padrone erano i coin-op, escludendo Haunted Castle (la versione da sala di Castlevania), Ghosts'n'Goblins e il suo seguito (invero infarciti di una forte impronta fantasy), c'era davvero poco altro per saziare la propria fame di budella. Ma se si aveva la fortuna di trovare l'arcade oggetto della review, ci si poteva rifare... e con gli interessi.
Come suggerito dall'esplicativo titolo, Splatterhouse premeva sul tasto del gore per mostrare sequenze più o meno raccapriccianti e truculente per la malsana goduria del giocatore di turno ed il disgusto di chi si trovava, incautamente, a buttare uno sguardo al video.

La storia narrava delle vicende di Rick Tylor che, con la sua ragazza, per sfuggire ad un temporale aveva la brillante idea di rifuguiarsi in una casa (ovviamente infestata) e del successivo rapimento di lei. Poi, da quanto si intuiva, una sorta di maschera (identica a quella del maniaco di Venerdi 13) si impossessava del protagonista e ci si ritrovavava così ad impersonificare un novello Jason, decapitando teste e mozzando arti a tutto spiano, niente di più, niente di meno. Eppure per gli amanti dell'horror più estremo, Splatterhouse era una vera goduria.

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La grafica, davvero particolareggiata, non lesinava in dettagli sanguinolenti, sia negli sfondi animati che nei personaggi. Tutto era messo in atto per colpire e shockare il giocatore (specie se ad impugnare il joystick c’era un adolescente): tra feti di bimbi deformi e lupi dalla cui carne putrefatta si intravedevano le costole, ce n'era per tutti i (dis)gusti. Questo per tacere degli splendi FX, che annoveravano raccapriccianti effetti splatter e sinistre risate demoniache, fino a veri e propri incantesimi pronunciati con voce cavernosa:da brividi. Peccato invece che le musiche, pur adatte e piuttosto ritmate, non riuscissero realmente ad emergere tranne in qualche caso sporadico, rimanendo relegate al confine dell’accompagnamento sonoro gradevole (per quanto si possa parlare di gradevolezza in questo caso) ma nulla più.

Ovvio che il comparto tecnico sarebbe stato nulla senza un valido gameplay ed è qui che Splatterhouse impressionava, stavolta piacevolmente. Un'apparente banalità dello schema di gioco, una classicissima struttura platform/beat'em up, nascondeva una varietà di situazioni e di nemici (menzione particolare per quelli di fine livello) encomiabili. Le scene memorabili si sprecavano, e molte sembravano provenire direttamente da un Evil Dead di Sam Raimi, un vero compendio di quanto il genere horror avesse regalato fino ad allora: una sala da attraversare con una serie di specchi da cui, all’improvviso, sbucava fuori la copia malvagia del protagonista, una intera stanza da affrontare (!) con tanto di caduta finale e inaspettata (ora non più…) del lampadario quando ormai ci si credeva al sicuro…davvero, anche a rivederlo oggi, Splatterhouse resta un piccolo gioiello di design, una miniera di idee e situazioni che, forse, coi tempi che corrono, più che spaventare farebbero sorridere, visto che a volte a furia di spingere sul pedale dello splatter si entra quasi nel grottesco.

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La giocabilità era ottima: ci si divertiva, per via della meccanica estremamente intuitiva: un tasto per saltare ed uno per colpire, con la possibilità di effettuare una sorta di scivolata e di combattere a mani nude o con armi a corto e lungo raggio…e i relativi mutilamenti da esse cagionati; tale semplificazione nei controlli, unita ad un ritmo e ad una difficoltà non particolarmente elevati, consentivano ad ogni partita di andare un po’ più avanti senza eccessive frustrazioni ma anzi gustandosi ogni momento. Chi ha concepito questo arcade deve essere stato malato, sublilmente malato, sapendo ricreare in un videogame, per di più arcade, l’atmosfera che altri titoli, anche futuri, si sarebbero sognati. L'unico difetto da rilevare era la longevità: anche affrontando tutti i percorsi presenti, perché il gioco in determinate zone presentava dei bivi, non poteva ritenersi un’impresa improba portarlo a termine, specie con un po’ di pratica e imparando qualche tattica per i boss di fine livello. Ed effettivamente dopo averlo finito un paio di volte, proprio quel ritmo pacato si rivelava un’arma a doppio taglio, rendendo il tutto un po’ noioso da riaffrontare.

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COMMENTO FINALE


"L'esperienza che Splatterhouse ha saputo regalare agli amanti del gore negli anni '80 è stata unica e appagante. Un concentrato di squartamenti e mostri che, pur sfociando spesso nei soliti clichè, si amalgamavano alla perfezione, raggiungendo il loro climax in alcune scene cult. Il buon Rick, poi, con la sua maschera "Jason style" era ed è semplicemente un mito."


Giuseppe "Epikall" Di Lauro