La Sega restituì una prima interpretazione del genere con Turbo, facendo da subito affidamento all'immedesimazione ricavabile da volante e pedaliera, presenti nelle sale giochi addirittura dagli anni Settanta con Gran Trak. La Sega poteva affidarsi ad un hardware di immensa potenza capace di gestire uno zoom, seppur di tipo analogico, che garantiva una fluidità impressionante ed un impatto shockante. Ciononostante, Turbo non riscosse un grandissimo successo, mancava di quel carisma che avrebbe trovato Outrun, suo seguito spirituale, e non gli giovarono neanche i suoi scenari anonimi e quelle meccaniche troppo acerbe.
Quando la Namco decise di irrompere sul mercato con Pole Position, si rivolse alla simulazione di un mondo da sempre affascinante e collettore di folle: la Formula 1. Era tutta un'altra musica. Bastava osservare il disegno del nostro bolide per sentire un'emozione, bastava ascoltare il rombo del suo motore per precipitarsi ad inserire una moneta nel cabinato. Eppure, l'hardware sul quale si poggiava non era rivoluzionario come quello di Turbo: si affidava a due gloriosi Z80, ma nient'altro di clamoroso. Come ogni buon racing game di scuola bidimensionale, della quale proprio Pole Position ha scritto tante regole, l'effetto di profondità e velocità era dovuto esclusivamente a sprites memorizzati in varie dimensioni, le quali venivano disegnate dal programma in relazione all'ipotetica distanza. Per fortuna, grazie alla sufficiente quantità di frame, il risultato finale era fluido e non penalizzava assolutamente la sensazione di velocità.
Abbiamo parlato del rombo del motore. Certo, era emozionante. Riascoltandolo con l'orecchio del giocatore moderno non si può, ovviamente, urlare al miracolo, ma il risultato rimane accettabile. Non altrettanto riusciti sono gli effetti sonori simulanti le sgommate, fastidiosi e troppo più alti del rumore del motore, mentre gradevoli sono i piccoli esempi di parlato campionato.
Il gameplay di Pole Position è limitato ed elementare, ma questo non era un problema per quegli anni. Ci tocca, tuttavia, sottolineare la povertà della modalità di gioco a disposizione: innanzitutto, la partita inizia con un giro di qualificazione che influenzerà la nostra posizione sulla griglia di partenza e sarà doveroso cercare di cogliere l'acclamata Pole Position che dà il nome al gioco. Occorre fare molta attenzione in quanto, in caso di tempi superiori al minuto, verremo esclusi dalla gara vera e propria con l'inevitabile perdita del prezioso gettone. La corsa si svolge nella più classica delle maniere: vi è un solo circuito a disposizione, quello giapponese del Fuji, molto veloce senza farsi mancare qualche curva impegnativa. E' chiaro che la riproduzione non sia estremamente fedele, ma si tratta di un problema inoltratosi fino agli anni Novanta per molti titoli della categoria. Vige la solita meccanica a checkpoint e la difficoltà è piuttosto elevata, tanto che soltanto i giocatori più abili riuscirebbero ad andare oltre i tre o quattro giri di pista.
Non potendo prescindere da qualche pretesa di realismo a partire dalle periferiche di controllo, anche Pole Position si affida a volante e pedaliera, non facendosi mancare anche un'approssimativa leva del cambio a due marce, bassa e alta, con la quale ci toccherà saltuariamente interagire. Avverrà principalmente in occasione della pole position o in seguito a qualche nostro incidente, quando ci toccherà ripartire da zero. E' abbastanza facile schiantarsi: oltre alle prevedibili insidie relative alla conformazione del circuito, c'è da fare i conti con le auto avversarie che non faranno alcunchè per scongiurare le varie collisioni e scansarle nel bel mezzo di un curvone potrebbe creare grattacapi a chiunque. In caso di contatto, la pena è l'esplosione del nostro mezzo, con relativa perdita di secondi preziosi ed azzeramento della velocità, praticamente il vostro passaporto per un game over assicurato.
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