Innanzitutto, come suggerisce il nome, gli avversari da affrontare erano i mitici guerrieri mascherati giapponesi, una vera e propria icona del periodo, e la loro presenza da sola contribuiva ad accrescerne il valore (non so quanti bidoni mi son preso ai tempi del C64 e dello Spectrum comprando cassette a scatola chiusa solo perchè recavano la dicitura "ninja" nel titolo!), poi c'era l'ottima possibilità di giocare in due contemporaneamente (ma questo era abbastanza scontato), inoltre il protagonista era dotato di un numero ragguardevole di mosse, che annoveravano varie spettacolari combinazioni, tra cui un calcio mulinello di Streetfighteriana memoria e addirittura una sorta di super, ottenibile tenendo premuto il tasto dell'attacco: il personaggio caricava un colpo che gli ricreava intorno un'aura energetica stile Kenshiro (con tanto di effetto sonoro a simulare l'inspirazione) e rilasciando il pulsante, sfogava tale potenza accumulata in un devastante pugno infuocato, in grado di atterrare più nemici e infliggere maggiori danni ai boss.
Accoppando poi un ninja di colore rosso, si ottenevano vari item, suddivisi in armi (un coltello e un nunchaku) e bonus (un orologio per incrementare il timer e la mitica lattina di Coca Cola per ripristinare parte dell'energia persa... anche se tale bevanda dovrebbe toglierla la salute, ma tant'è... siamo pur sempre in un videogioco!). Tra le varie tipologie di avversari, non mancavano delle dolci pulzelle da mazzuolare per bene (per la gioia delle femministe), dei simpatici cagnolini da prendere a randellate (così pure gli animalisti avevano un motivo per amare questo titolo) e, per non farci mancare nulla, addirittura un ninja di fuoco, che schizzava a velocità folle sullo schermo (probabilmente alla spasmodica ricerca di una fonte d'acqua per spegnersi... e il massimo della bastardaggine era finirlo con un pugno infuocato). Troppo belli gli FX, con tanto di parlato digitalizzato incomprensibile, estremamente cattivi e fracassoni, con punte di comicità involontaria, come nel caso delle ragazze che, al momento di spirare, sembravano emettere un gemito di piacere più che di dolore... boh, saranno state masochiste! Ah, quando si finiva un livello, il truzzo in canotta alzava le braccia per esultare, esclamando un convintissimo "upper!" (o qualcosa del genere)... troppo esaltante!
E poi... e poi basta! Tutto qui, direte voi? Bhè... si! Dai su, siamo seri... negli anni '80 per dar vita ad un buon coin-op era importante renderlo rumoroso, divertente e maledettamente difficile (così da accumulare più gettoni possibile) e molte volte a fare la differenza tra i vari giochi era la semplice ambientazione e la caratterizzazione dei personaggi. Dragonninja era apparentemente ben dotato in tal senso ma il vero problema era che, a fronte di una manciata di boss degni di nota (come il piccoletto armato di guanti alla Freddie Krueger e il ninja che si moltiplicava stile Naruto, poco originale ma sempre d'effetto) e di qualche livello valido (spettacolare il secondo su di un autotreno in corsa), c'era una ripetitività di fondo eccessiva, addirittura il citato secondo stage veniva replicato pari pari su di un treno, pure con la stessa (ottima) colonna sonora e ovviamente un lapalissiano senso di deja-vu. Altri poi erano mediocri, diversi come ambientazione ma con uno sfondo uguale per tutta la durata e i soliti avversari... l'esempio di cui sopra veniva bissato dal quadro ambientato nelle grotte, virtualmente identico a quello nella foresta. Gli stessi boss (la cui musica era un remix del main theme di Karnov, vecchia gloria Data East, qui presente anche come nemico alla fine del primo livello), dopo i primi quattro, subivano un netto ridimensionamento, così come la difficoltà nell'abbatterli risultava eccessiva, se non in compagnia di un partner (e comunque non era uno scherzo nemmeno in due) o utilizzando svariati continue.
Insomma, un prodotto inizialmente appagante, non innovativo ma che riusciva nell'intento di divertire. Peccato che, dopo la prima metà il gioco subiva un certo ridimensionamento, perchè l'apparente freschezza di cui godeva lasciava spazio ad una fastidiosa sensazione di già visto, colpa di un design che finiva col cadere in un totale anonimato e dell'eccessiva frustrazione, coi nemici che attaccavano da tutte le parti e vite su vite perse, finendo con l'andare avanti per inerzia; in quest'ottica appariva giusta la scelta di limitare a sette il numero dei livelli. Mi dispiace in questa analisi evidenziare i difetti di quello che è stato uno dei miti della mia adolescenza in sala ma Dragonninja ha sempre prestato il fianco a qualche critica, rivelandosi un buon videogame di sicuro ma una maggiore varietà, una difficoltà meglio tarata, unite magari a qualche idea originale in più non avrebbero guastato, mentre, a fronte di uno sfolgorante inizio, veniva soffocato da una sgradevole monotonia, cui andava aggiunta come pietra tombale l'eccessiva frustrazione (a meno di continuare ad libitum, annullando così il senso di sfida, o di poter contare su di un secondo giocatore, nel qual caso le cose miglioravano sensibilmente).
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