Lo spirito di Breakout si differenziò in maniera molto più decisa da quella inizialmente prevista dai suoi programmatori rispetto a Pong e risultando, in alcuni casi, persino più influente del suo importante genitore. Per le solite complicanze nel gestire una intelligenza artificiale, le uniche routine di cui la Atari necessitò di preoccuparsi erano solo quelle legate al rimbalzo della pallina e del movimento dell’immancabile barretta bianca. Il feeling del gioco trovò uno snodo cruciale nel cambio degli obiettivi: non più un umano da superare, non più un inventarsi traiettorie ingannevoli per segnare ma una forte concentrazione sulla mira. Il nostro compito è solo quello di abbattere un elevato numero di mattoncini posti al di sopra della nostra barretta cercando di non far cascare la pallina nei successivi rimbalzi, il gioco finiva quando tutte le palle a nostra disposizione terminavano. La formula aveva delle limitazione terribili: se negli anni successivi è stato relativamente semplice inserire numerosi livelli con differenti disposizioni dei mattoncini da abbattere, nel 1976, anno di pubblicazione di questo coin-op, si dovevano fare seri conti con la memoria disponibile. La conseguenza di questo insormontabile problema si tradusse in due soli livelli disponibili dopodiché, una volta terminati, non si faceva altro che rimanere con lo schermo vuoto in attesa che la pallina precipitasse. Per ovviare a questo problema alla Atari provarono ad adottare delle contromisure incrementando il livello di difficoltà: c’erano tre palline a disposizione per completare la nostra missione, ma aumentavano la loro velocità ogni quattro tocchi fino a diventare quasi imprendibili; c’erano otto file di mattoncini, ma una volta colpita l’ultima, la dimensione della nostra barretta veniva dimezzata con tutte le complicanze risultanti. Particolarmente sgradito ai giocatori dell’epoca, sensibili alla febbre dell’high score, era il limite congenito in fatto di punteggi, stabilito a 448 punti, ovvero la somma massima raggiungibile col numero previsto di mattoncini.
Il gioco conobbe comunque un notevole successo al punto da spingere l’Atari a produrre una versione riveduta e corretta, col non indifferente pregio di essere basato su processore M6502 che consentiva, di fatto, di superare le numerose limitazioni incontrate nella incarnazione originale. Numerose novità e modalità aggiuntive furono introdotte e bissato fu il successo: dopo Computer Space, la Atari sembrava aver dimenticato il significato della parola fallimento.
Altre versioni
Anche per Breakout si assistette più che a una proliferazione di conversione, a una proliferazione di cloni, alcuni di fattura pregevole. Il più famoso è assolutamente Arkanoid con tutti i suoi seguiti, reale miglioramento del concept originale, potenziato con l’introduzione di utili e spettacolari bonus. Per le conversioni vere e proprie, ne uscì solo una per Atari VCS per quanto riguarda il Breakout originale e una per ogni sistema Atari fino all’ST per Super Breakout.
Nel corso dei tempi nessuno ha mai dimenticato questo gioco e ciò è testimoniato da due revival, il primo per Atari Jaguar, chiamato Breakout 2000, un tentativo di proporre in tre dimensioni il concept originale senza aggiungere assolutamente nulla di nuovo a quanto già visto allineandosi tristemente alla qualità media della peggiore console Atari di tutti i tempi. Molto migliore fu il remake ad opera della Supersonic, gli stessi della rivisitazione di Pong con la quale condivide moltissimi aspetti, non da ultimo la qualità. Ovviamente, nel rispetto del gioco originale, viene privilegiato il single-player e, addirittura, aggiunta una simpatica anche se inutile trama.
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