Già che siamo in tema di confessioni, alzi la mano chi non rimase deluso dalla mancanza delle suddette signorine nelle conversioni per home computer: il fatto che tali porting fossero ben realizzati, era un dettaglio che passava decisamente in secondo piano. La transizione con disarmante noncuranza da uno stage all'altro previo anonima scritta, saltando bellamente la guadagnata remunerazione visivo/libidinosa, sembrava un affronto da parte della Ocean, uno sgarro bello e buono.
Assodata la preclusione di poter godere delle amate geishe nell'intimità della nostra cameretta, non restava che andare in sala a condividerle con tutti. O, per i più puritani, limitarsi a buttare un'occhiata fugace alle partite altrui, tanto lo scopo sarebbe stato ugualmente raggiunto.
Tuttavia proprio le versioni casalinghe avrebbero aiutato a rivalutare quella arcade: un plauso, nonostante tutto, andava fatto alla Ocean, benché immeritato, non essendo la riabilitazione artistica del videogame Taito nelle intenzioni della software house. Eliminando le schermate hard e "spogliando il gioco delle ragazze spogliate", si era obbligati a confrontarsi col solo puzzle, scoprendo, caspiterina, che non era proprio niente male, tutt'altro.
E così le mosse effettuate con inerzia, solo per gustarsi un pezzo di slip, si scoprivano essere regolate da una logica tanto semplice quanto intrigante. Il gameplay era basilare, eliminare tutti i simboli presenti nella schermata, accoppiandone due o più identici, potendoli spostare solo orizzontalmente, con un occhio di riguardo alla forza di gravità (evitando cioè di farli irrimediabilmente cadere). Per fortuna si poteva usufruire di particolari blocchi mobili per raggiungere zone altrimenti inaccessibili, e tali features rendevano ogni quadro (eccezion fatta per i primi, di riscaldamento) una sfida intrigante, cui dedicare la giusta dose di spirito d'osservazione.
Ogni stage aveva la sua brava risoluzione, memorizzata la quale diveniva pura formalità superarlo, però la disposizione a ventaglio dei livelli garantiva una certa eterogeneità e, in ogni caso, l'azione piacevole permetteva di riaffrontare quelli già assimilati senza eccessivi sbadigli o qualsivoglia noia. Contemplata l'opzione “retry” per ricominciare qualora si fosse commesso un errore, e il tempo limitato aggiungeva un pizzico di brio al gameplay.
Ciò detto, c'è ben poco da fare, il mio tentativo di regalare a questo puzzle la dignità di cui non ha mai realmente goduto, probabilmente è una lotta contro i mulini a vento, e va ad infrangersi qualora si chieda oggi ad un adolescente dell'epoca di descrivere Puzznic: citerà la presenza delle donnine nude nella versione da sala e l'assenza in quelle home, poche ciance. Già, a volte il mondo videoludico sa essere parecchio ingiusto.
Ma fosse anche solo per le mediocri pics digitalizzate ritraenti le fanciulle di cui sopra, Puzznic ha il merito di essersi ritagliato un posticino nel nostro cuore di retrogiocatori e, in fondo, chissenefrega del reale motivo, tanto basta a ricordarlo con affetto.