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ID: 249684Il primo ricordo che ho di Ghost 'n Goblins è olfattivo. Mio cugino, più grande di me di un lustro abbondante, aveva piazzato nel suo fatiscente garage uno ZX Spectrum 48k, un piccolo monitor, e la sua brava cassetta di GNG. E quale ambientazione migliore, se non quel lugubre scantinato, in cui non filtrava un solo raggio di sole, costantemente in penombra e che trasudava un odore di antico e abbandonato, ancorché una sensazione sgradevole di umido marciume... quasi si trattasse davvero di un cimitero. Un giorno lo trovai lì tutto intento a giocarci e ne rimasi folgorato: in quel titolo c'erano gli zombi! Restai a fissarlo per un bel po', quasi stessi assistendo ad uno di quei film horror che mi piaceva sbirciare la notte di nascosto dai miei genitori, spesso zappando, perché in effetti un po' di fifa addosso me la mettevano. Poi ho avuto anch'io il computer Sinclair e GNG fu uno dei miei titoli preferiti, per quanto l'abnorme difficoltà non mi consentisse di superare il secondo livello. In seguito acquistai il C64 e, scherzi del destino, ci trovai in omaggio proprio tale gioco. Riuscii a finirlo e, nonostante una grafica minimalista e un taglio dei livelli facessero un po' storcere il naso, la musica, squisitamente lugubre, con tanto di cori spettrali (e quello storico giro di basso), e la tipica palette grigio/metallica riportavano l'atmosfera a mille. E poi... c'erano gli zombi!

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Tuttavia, non è facile spiegare cosa abbia rappresentato per noi adolescenti degli anni '80 GNG. Il rischio di essere presi per i fondelli dalle nuove leve di videogiocatori è dietro l'angolo. D'altronde, come dargli torto? Diciamo le cose come stanno, un po' di imbarazzo lo si prova nell'ammettere che GNG è stato il Resident Evil della nostra fanciullezza. E già mi sembra di sentire i ragazzi di oggi scompisciarsi dalle risate, nel paragonare le immagini dei due titoli che in comune hanno solo la presenza dei morti viventi e il logo Capcom. Però, si provi a tornare indietro negli anni. In un mondo, quello dei platform, visto nell'immaginario collettivo come colorato e divertente, popolato da piattaforme sospese in aria dalle tinte sfavillanti, in cui gli avversari erano talmente graziosi che quando ti facevano fuori, a parte un subitaneo disappunto, non riuscivi a portar loro rancore, bhè, in quell'universo pacioccoso che aveva nel simpatico Mario l'astro nascente, Capcom entrò a gamba tesa stravolgendo i canoni che il baffuto idraulico italiano ambiva a settare come standard, con un titolo dalle tinte spente, un protagonista bruttino dalla barba incolta, dei mostri orribili e alla base di tutto una difficoltà che dava ai nervi. E forse era quello il succo, l’ostracismo di ogni singolo passaggio, la repulsione verso ogni singolo avversario. Non solo quello finale, a rappresentare la summa della cattiveria, il climax dell'odio, la meta da raggiungere e abbattere liberatoriamente, ma ogni singolo istante, ogni maledetto mostriciattolo, persino quelli minuscoli, apparentemente insignificanti e innocui, erano dei piccoli boss che accampavano pretese sulla nostra esistenza e che spesso riuscivano nei loro malvagi propositi. Quelle creature facevano davvero paura e non perché graficamente orripilanti, o mentori di atavici e fanciulleschi spaventi, quanto perché in grado di farci le penne in qualsiasi momento. Il terrore dei mostri di GNG era rappresentato dalla loro crudeltà, dalla loro spietatezza. La ronzante ed ossessiva idea di dover ricominciare daccapo, o magari da quel maledetto check point posto eccessivamente più dietro rispetto a dove ci avevamo lasciato le penne, metteva autentica strizza. Il timore reverenziale non solo di trovarsi faccia a faccia con una creatura orripilante, ma anche con l'inutilità dei nostri sforzi, temendo, in ogni istante, che dal terreno spuntasse uno zombi o dall'alto un diavoletto a farci inopinatamente fuori. Una tensione emotiva costante per tutto il corso del gioco, per cercare di restare aggrappati coi denti alla vita, all'armatura, persino ai boxer del protagonista.

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Nel rivederlo oggi, GNG appare in un'ottica diversa, infarcito com'è di gustosa ironia, in alcuni casi non so quanto volontaria. Si pensi all'inizio, col prode Arthur steso in terra in un cimitero (!), in mutande (!!), con la sua bella accanto a fare non so cosa (!!!). Ma si guardi anche alla sua temporanea trasformazione in rana, con tanto di spassoso gracidio, qualora si colpisca troppe volte una lapide (si sa, mai risvegliare il sonno eterno di un mago malvagio) e all'impavido cavaliere che affronta i mostri senza macchia, senza paura, ma, nel caso perda l'armatura, con i boxer in bella vista. Eppure tale condizione non ha mai fatto ridere, perché ci si sente nudi, allo scoperto, senza una barriera a separare il nostro corpo mortale da quelle fetenti creature, che in realtà più che disgustose appaiono dispettose. Su tutte il Red Arremer, un mid-boss ricorrente e vero fulcro del gioco, dotato com'è di quei pattern apparentemente casuali che hanno fatto dannare più di una generazione di giocatori. Nel malaugurato caso prenda il volo, ci si ritrova ad esultare qualora si riesca a sconfiggerlo, o ad imprecare nel caso una sua picchiata sortisca il giusto (per lui) effetto e a fissarne il volto carico di malvagia soddisfazione, per alcuni istanti beffardamente impresso a schermo. I grafici della Capcom devono essere stati dei geni. Che oggi verrebbe voglia di prendere a sberle, ma evidentemente, se questo è il risultato, un po’ di merito gli va riconosciuto. Ma del carisma della gargolla rossa se ne è accorta la stessa software house nipponica, se è arrivata a riproporla come personaggio giocante e addirittura protagonista di altri suoi titoli (su tutti, il mai troppo lodato Demon's Crest/Blazon per SNES). Ma GNG è anche un meccanismo che abbisogna di essere assimilato in ogni suo dettame, nella speranza che in quei, pochi, punti random la fortuna ci arrida. GNG non è sinonimo di divertimento, non subito. Solo dopo tanta dedizione si può ottenere qualche risultato e il segreto è proprio quello: insistere, non farsi demoralizzare, perché i risultati arrivano. E dopo essere entrati nei suoi inflessibili schemi, una volta acquisito il giusto ritmo, allora si che ci si diverte. Ma a quale prezzo! Il titolo è accostabile, forse un po' ingiustamente, quasi ad un laser game, una sorta di fiaba dark di burtiana memoria, con una bella storia da vivere stesa su degli scorci spaventosi ma affascinanti, previo torturarsi col macchinoso sistema di gioco. GNG è due facce della stessa medaglia, solo che per scoprire l'altra, bisognerà armarsi di pazienza, pazienza che non tutti sono disposti ad investire, e ad onor del vero non c'è da biasimarli. C'è chi insisterà, aggrappandosi nei momenti di sconforto a quei minimi ma comunque tangibili progressi fin ad allora effettuati, e chi deciderà che il gioco non valga la candela, pardon, il lumino.

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GNG è un seminale inno all'innovatività, un crogiolo di idee, coi suoi livelli diversificati e trascendenti, pur coi limiti grafici del periodo che ne condizionavano la resa. Paradossalmente, una costrizione che ne bloccava la costruzione ma che fungeva da stimolo alla nostra fervida immaginazione, che sarebbe probabilmente giunta a figurare ciò che avrebbe rappresentato nel concreto il seguito ufficiale, Ghouls'n Ghosts. Ma sappiamo benissimo che in quel lontano 1985 la nostra fantasia sopperiva egregiamente alle mancanze, obbligatorie, della tecnica. Il design degli stage è encomiabile e il potere immaginifico di talune sezioni mozzafiato è immenso: glissando sullo storico cimitero iniziale, non si possono tralasciare il suggestivo ponte infuocato e gli ultimi due, in una scalata ansiogena per raggiungere la vetta, dove ad attenderci non troveremo la bella a noi ignobilmente sottratta, ma i suoi implacabili rapitori. Nel mentre, capiterà di imprecare a causa della difficoltà nel pilotare Arthur qualora accovacciato o in prossimità di una scala, e di scoprire che, di tutto l'arsenale a disposizione, a parte l'iniziale e fidata lancia, l'unica arma valida è il rapido pugnale, mentre sono da evitare come la peste la fiaccola e l'ascia, con la loro traiettoria discendente e limitata. In mezzo a questa chincaglieria, lo scudo (o croce nella meno ostica versione giapponese Makaimura), l'arma definitiva, e non perché la migliore del lotto, quanto quella obbligatoria per terminare il sesto e ultimo livello, in grado di parare i colpi avversari (ma non del boss finale, un immenso Lucifero) da un lato, ma dalla gittata terribilmente corta dall'altro, costringendo ad un pericolosissimo faccia a faccia coi nemici. E, volenti o nolenti, bisognerà prendere il coraggio a quattro mani. Avendo sempre bene in mente che la sfavillante armatura sia inesorabilmente monouso, fornendoci protezione solo una tantum, dopodiché si resterà in mutande, figurativamente e praticamente parlando. E, dopo i boxer, il passo successivo di questo strip è estremo, arrivando direttamente allo scheletro. Non bastasse tutto questo, pur raggiungendo il citato Luciferone con l’arma richiesta, una volta sconfitto si apprenderà di dover ripetere l'intero giro, perché quello appena portato faticosamente a termine è pura illusione! Si, ma la nevrosi sarà reale, specie pensando alla difficoltà maggiorata del tutto. E finirlo nuovamente sarà impresa di quelle epocali, magari con l'ausilio di un pizzico di buona sorte (e di alcuni provvidenziali bug...), ma sicuramente non per caso: quanti possono ambire ad entrare in questa ristrettissima hall of fame? GNG avrebbe già avuto la meglio con la maggior parte dei giocatori a mani basse, ma voler stravincere e ridicolizzarli, l'ostentare cattiveria ludica a tal punto, non è propriamente leale. Ciononostante, un titolo da amare incondizionatamente, sta a voi decidere se farlo nonostante o proprio per questo.

COMMENTO FINALE


"In un periodo in cui al cinema non era raro trovare film horror come “Il ritorno dei morti viventi” di Dan O' Bannon o “Il giorno degli zombi” del grande George Romero, sulle cui locandine noi adolescenti fantasticavamo, masochisticamente attratti e affascinati, Capcom diede la possibilità di affrontare i nostri incubi. Peccato che tale intento fosse terapeutico sulla carta ma tutt'altro che propedeutico all'atto pratico, vista la nostra reiterata debolezza al cospetto della feccia di Lucifero. Ma in mezzo a imprecazioni di ogni tipo e sfuriate nevrasteniche, un titolo mitico che ha fatto sognare, spaventare e dannare un'intera generazione di giocatori."

Giuseppe "Epikall" Di Lauro