Ci trovavamo nel 1981, un anno prima della pubblicazione del capolavoro Namco e la divisione americana della Sega si ingegnava per proporre una simulazione di guida dalle spiccate doti di realismo grafico, ovviamente per l'epoca. Il primo passo, seppur non inedito, fu costruire un cabinato con tutto il necessario per una credibile immersione: un bel volante, un'opportuna pedaliera e un cambio a doppia marcia. Sorprende la scelta della prospettiva: non dall'alto, non dall'interno dell'abitacolo come in Night Driver ma dalle spalle della nostra vettura, proprio come in quel Pole Position che di lì a poco si sarebbe impossessato di tutta la gloria. L'impostazione ricorda indiscutibilmente anche OutRun, del quale Turbo appare una prova generale, del resto ben riuscita.
Qualche perplessità soggiunge nell'attimo in cui si tenta di individuare il genere di competizione alla quale stiamo partecipando: le vetture sono esteticamente riconducibili a quelle di Formula 1 o Indy, ma il circuito cangiante in cittadino, rurale e da corsa ci confonde parecchio le idee. Ma il giocatore dell'epoca, e molto spesso anche noi, non andava troppo per il sottile e ciò che interessava era venir ripagati del costo del gettone. Turbo ce la fa. Il primo appagamento è quello estetico: Turbo poggia su una particolare scheda della Sega che per la prima volta consentiva lo scaling degli sprites, una qualità che venne introdotta nel mercato delle console casalinghe soltanto un decennio più tardi. Nonostante si trattasse di un hardware migliorabile, l'effetto era garantito e la fluidità con la quale si muovevano gli enormi palazzoni ai bordi della strada e tutti gli altri oggetti accessori alla nostra corsa garantivano un coinvolgimento inarrivabile, altrove, per l'utente. Gli sprites delle auto non erano soggetti allo zooming ed erano semplicemente una serie di bitmap opportunamente selezionate dalla CPU a seconda della distanza, secondo una metodologia molto diffusa anche negli anni successivi che, tuttavia, stona un pò con la continuità dello scenario. Qualche imperfezione si nota anche nel ridimensionamento di alcuni elementi che tendono ad una lieve distorsione al raggiungimento delle dimensioni maggiori, ma nulla di imperdonabile considerando la giovinezza dell'hardware. Tutte queste qualità, secondo l'immaginario comune, furono introdotte dalla Namco, come dicevamo prima, con Pole Position: nulla di più sbagliato, la Sega giocò con un anno di anticipo sia nell'impostazione della partita sia nelle soluzioni tecniche.
Analizzando il gioco vero e proprio, ovvero i nostri compiti successivi all'inserimento del gettone, notiamo delle caratteristiche seminali che hanno generato titoli più o meno apertamente ispirati a Turbo. Quello più evidente, che campeggia al centro della parte superiore del video è il timer che ci ricorda i secondi a nostra disposizione per il completamento dello stage. Di per sè non è una novità, ma qui si abbina al raggiungimento di obiettivi-checkpoint che, una volta superati, prolungheranno la durata della nostra partita consentendoci altresì di accedere alla zona successiva senza spezzare l'azione. Il nostro successo sarà segnato dal numero di sorpassi effettuati. All'inizio di ogni stage dovremo superare una considerevole quantità di avversari, nell'ordine della quarantina, per adempiere al passaggio dello stage e il compito non sarà di certo facile tenendo conto dell'impaccio che ci creerà l'affollamento della strada, con ogni collisione che ci immobilizzerà per un paio di secondi oltre a farci perdere una manciata di posizioni. Un insospettabile antagonista è l'imprevedibilità del tracciato che cambierà di forma e qualità repentinamente, lasciando ai nostri riflessi poche frazioni di secondo per reagire: per fare un esempio, mentre gareggiamo sul nostro circuito asfaltato, potremo ritrovarci su di uno strettissimo ponte senza alcun preavviso e senza alcuna transizione, mancanza dovuta principalmente a limiti tecnici della macchina ma che, di fatto, ostacola tremendamente la nostra partita. A ciò aggiungiamoci il fatto che la nostra corsa può essere occasionalmente interferita da un'ambulanza in piena corsa e che dal secondo stage in poi dovremo fare i conti con un'ulteriore parametro: le vite. Già, perchè se nel primo livello potrete schiantarvi tutte le volte che vorrete, dal secondo in poi dovrete gestire al meglio le collisioni per non sprecare i nostri preziosi (e pochi) 1up.
Turbo risulta, quindi, nient'affatto semplice ma senz'ombra di dubbio gradevole. L'impatto delle prime partite non sarà dei più dolci vista la frenesia della corsa, ma sarà sufficiente capacitarsi di non dover strafare e di concedersi molte pause con l'acceleratore per prendere la giusta confidenza col mezzo. Va eseguito anche un certo lavoro di memoria a causa delle violente transizioni tra i vari scenari che richiederanno una vostra preparazione preventiva all'evento, ricordandovi che ogni scenario presenta difficoltà peculiari: il ponte va affrontato molto lentamente a causa della carreggiata stretta, sul ghiaccio è meglio sterzare poco e in galleria bisogna tenere a mente che il nostro campo visivo è ridotto e non ci permette di vedere le auto in lontananza.
Altre versioni
L'elevato spessore tecnico dell'hardware di Turbo rendeva ogni conversione piuttosto improba, ma furono comunque realizzati due porting. Quello per Intellivision fu un tentativo lodevole ma comprensibilmente distante dall'originale da sala, mentre la versione Colecovision risultò sorprendentemente fedele e gli stratagemmi per simulare lo scaling degli sprites funzionavano dignitosamente. Forse il miglior gioco di corse per questa console.
Altre immagini: