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ID: 243416Primi anni ‘80, la creatività dei game designers in questo periodo è al massimo della sua fioritura, si possono incontrare giochi sugli argomenti più assurdi, da come preparare un hamburger fino alla pulizia dei denti, come visto in Burger Time e Plaque Attack, ma ancora non era mai capitato di vedere uno strano alienotto bipede che diceva le parolacce appena colpito dai nemici… la sua incomprensibile frase “@!#?@!” è entrata nell’immaginario collettivo, rendendolo uno dei simboli del videogaming classico. Il suo nome è Q*Bert ed il suo folle mondo è una piramide isometrica.


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ID: 243402 Il contesto storico
Flipper. A questo conosciutissimo dispositivo meccanico era legato il divertimento nei bar di tutto il mondo, prima dell’avvento dei videogiochi. Dagli anni ‘30 fino agli anni ‘70, il pinball, questo il nome originale della macchina, ha regnato incontrastato. Successivamente è avvenuta però la diffusione dei primi cabinati elettronici da sala funzionanti a gettoni, i cosiddetti penny arcade o coin-operated. Negli anni ‘80 il flipper si è visto prima affiancare e poi superare da questi nuovi e scintillanti giochi tutti basati sull’elettronica e non più sul movimento meccanico. Molte aziende specializzate nella realizzazione delle "pinball machines" hanno cominciato a vedere questo cambiamento epocale, poiché nei locali per l’intrattenimento, come pubs, bar, biliardi e sale giochi, oramai tutti volevano provare queste nuove meraviglie tecnologiche. I videogames in realtà esistevano da molto tempo, ma solo in quel periodo hanno cominciato a diffondersi in modo massivo. Ovunque. Non è un caso che tra i produttori storici di flipper ci siano nomi molto noti nell’industria videoludica, alcuni dei quali molto attivi. Il business è principalmente statunitense, ma non mancano protagonisti giapponesi come Sega e Capcom e persino italiani come la celebre Zaccaria. Tra le aziende statunitensi ricordiamo Atari, Bally-Midway, creatrice di un leggendario flipper dedicato a Baby Pac-Man,Williams, Data East, Nintendo e Gottlieb. Proprio a quest’ultima casa si deve la creazione di Q*Bert, un videogioco destinato ad entrare, suo malgrado, nella leggenda.

Nota sugli sviluppatori
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ID: 243403Poco prolifica nel mercato videoludico ma conosciutissima in quello della produzione di flipper, la compagnia di Chicago, fondata da David Gottlieb, è stata infatti un punto di riferimento assoluto nella creazione e distribuzione di pinball machines in tutti gli Stati Uniti dagli anni ‘30 in poi, arrivando fino al 1996, anno in cui venne prodotto l’ultimo flipper della casa. Oltre 120 modelli di flipper sono stati prodotti in circa sessant’anni di attività della compagnia, alcuni dei quali supportati dal lavoro di svariati artisti ed illustratori che hanno creato una vera e propria “bottega in stile quattrocentesco” sotto le ali protettrici del loro mecenate, la Gottlieb. La produzione videoludica della casa americana è decisamente meno assortita, comprendendo pochi titoli di rilievo, tra cui Q*Bert, suo più grande successo, e l’altrettando valido Reactor, un bizzarro titolo, nato dalle forti paure nucleari dell’epoca, che ci vede nei panni di un pilota impegnato nella missione di evitare un’imminente disastro atomico. Entrambi i titoli risalgono al 1982, mentre bisogna aspettare il 1990 per veder arrivare Exterminator, rilasciato per i principali home computer ad 8 e 16 bit, oltre alla versione PC DOS. Questo titolo è un apocalittico sparatutto in prima persona in cui possiamo vedere la città di Chicago, sede della softco, invasa da devastanti e giganteschi insetti mutanti. Attualmente la gloriosa Gottlieb, il cui nome completo è D. Gottlieb & Co, non risulta più in attività ed i diritti sulle sue opere sono stati acquistati dalla Columbia, a sua volta appartenente all’orbita Sony.

Gli autori di Q*Bert
Le menti principali dietro al titolo sono solamente tre: Warren Davis, game designer e programmatore, Jeff Lee, grafico e disegnatore di tutti i bizzarri personaggi, oltre a David Thiel, musicista ed autore della colonna sonora.Oltre a loro Q*Bert ha anche un padre spirituale, che risponde al nome di Kan Yabumoto, un poco noto autore giapponese di videogiochi che ha realizzato una rappresentazione grafica con figure esagonali in 3D su cui si sarebbe poi basata la piramide che fa da sfondo al gioco. Warren Davis, infatti, osservando il lavoro di Yabumoto ha iniziato ad ideare i primi bozzetti che si sarebbero poi concretizzati nel gioco di Q*Bert.
Ci siamo occupati subito di conoscere le menti dietro a Q*Bert, poiché alla sua creazione è legata una interessantissima storia di sviluppo svelata dal documento “The Creation of Q*Bert” pubblicato su Coinop.org, di cui consigliamo la lettura a chi volesse approfondire la genesi del titolo.

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ID: 243404La creazione di Q*Bert
Partendo dal lavoro grafico dell’artista giapponese, Davis ha dunque immaginato una piramide fluttuante nell’aria e composta da cubi tridimensionali su cui ha collocato i bizzarri personaggi creati dall’illustratore Lee tra cui proprio il nostro simpatico Q*Bert, colorato di arancione per farlo meglio risaltare nel contrasto con i molteplici colori che si sarebbero formati sulla piramide. All’inizio però il tutto non era stato concepito nemmeno come un gioco, ma come un esercizio di programmazione. Nel momento in cui gli autori hanno notato quanto divertente fosse far gironzolare questi personaggi tra i cubi, è iniziata a balenare nella loro testa l’idea di trasformarlo in uno di quei videogiochi che tanto stavano prendendo piede all’epoca. Pensando ad un modo per arricchire il gameplay, Il protagonista Q*Bert è stato dotato da Jeff Lee di un enorme naso da cui avrebbe sparato particolarissimi proiettili contro gli altri personaggi mentre cambiava i colori dei cubi. Nel momento di proporre il tutto alla Gottlieb il gioco è stato proposto con la bizzarra descrizione di “Snots and Boogers” che non lasciava dubbi sui proiettili sparati dallo strambo protagonista (Booger, come sanno bene i fan del leggendario film “la rivincita dei nerds” vuol dire proprio caccola...). Ritenendo forse troppo audace questa scelta la casa madre ha suggerito di rimuovere la possibilità di sparare. Questa scelta a posteriori potrebbe essere stata un errore, poichè il design del gioco si sarebbe notevolmente arricchito. Visto che il titolo di lavoro del gioco era “The Cube Game”, si è forse alienizzato il concetto mescolando il nome reale Hubert con Cube, poi contratto con l’asterisco per dargli un suono non terrestre, su suggerimento di Rich Tracy, direttore artistico della Gottlieb. Il lavoro totale di programmazione e testing ha richiesto circa quattro mesi per essere completato.

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ID: 243405Un Gameplay basato sulla pura azione
Dopo aver scoperto gli interessanti retroscena legati alla creazione del gioco, soffermiamoci ad analizzarlo in tutte le sue potenzialità ludiche. La piramide si compone di sette file di elementi cubici affiancati, uno solo alla punta e ben sette alla base. Si viene quindi a realizzare un perfetto triangolo sul quale il nostro eroe sarà costretto a saltellare per cambiare il colore di ogni singolo pezzo del piano di gioco. Atterrando su uno dei cubetti, infatti, il bizzarro alieno muterà il colore dello sfondo fino a raggiungere quello giusto. Nel primo livello questa azione andrà fatta solo una volta, ma man mano che si procede negli stages, sarà necessario operare molteplici cambiamenti. Il cambiamento dei colori dei cubi è stato suggerito agli autori da Ron Waxman, un ingegnere e progettista di flipper che lavorava alla Gottlieb. Elemento interessantissimo del gameplay è la presenza di due ascensori, utilizzabili una volta soltanto, con cui tornare alla sommità della piramide. Nel momento in cui un nemico ci insegue, egli cercherà di atterrare sulla piattaforma ascensore, che però verrà sottratta e lo farà rovinosamente cadere nel vuoto. Il gioco si avvicina decisamente al genere dei maze, pur mutuando tipici elementi dei giochi di azione ed anche dei platform. Come lo stesso Pac-Man, anche Q*Bert non fa uso di alcun pulsante e basa tutto il gameplay sul movimento, benché inizialmente William Davis e Jeff Lee avessero previsto la possibilità, decisamente sospirata dai giocatori, di poter sparare ai nemici grazie all’enorme naso. Il gioco consiste di nove livelli, divisi in round, ma dopo l’ultimo non vi è un vero finale poichè il nono si ripete all’infinito fino a che resiste il giocatore... o semplicemente esaurisce le monetine! Non è previsto un vero e proprio multiplayer poichè due persone possono giocare insieme al cabinato solo alternandosi tra loro.

Il bizzarro bestiario di Q*Bert
Ad opporsi alla missione di Q*Bert troviamo svariati personaggi, tutti disegnati graficamente da Jeff Lee. A complicarci la vita, infatti, ecco apparire durante il gioco alcuni nemici che gironzolano per la piramide, alcuni molto agguerriti, che ci inseguiranno in ogni nostro percorso, altri con una traiettoria più casuale, ma comunque letali al tocco. I nemici più tranquilli sono gli sferoidi semplici, divisi in verdi e rossi, che alla fine risultano piuttosto inoffensivi e facilmente gestibili, poiché rotolano sempre solo verso il basso fino a sparire dalla base della piramide. Più deciso alla nostra disfatta appare invece un pericoloso serpentello viola di nome Coily, che fuoriesce a sorpresa da una delle palline rotolanti che cadono dalla piramide. Il rettile risulta quello dall’intelligenza artificiale più sviluppata, poiché non perde un solo movimento e lo replica alla perfezione, grazie al suo corpo a forma di molla, per liberarsi di questo insidioso enemy ci vengono in aiuto le due piattaforme mobili che fungono da ascensore. Non di sole palle e serpi è composta la fauna q*bertiana, ecco giungere da chissà quale universo parallelo i Wrong Way, degli stramboidi folletti che, camminando a testa in giù sulle pareti, vogliono colpirci determinati ad eliminarci. Il fatto che camminassero dalla parte opposta dei cubi ha suggerito ad alcuni critici che il gioco possa essere stato influenzato anche dalle opere di M.C. Escher. Veramente insidiosi risultano essere poi Slick e Sam, omuncoli verdi caratterizzati da un ciuffo punk degno di Billy Idol, che si divertono a cambiare colore ai cubi già sistemati dal povero Q*Bert che giustamente spesso si inalbera e pronuncia le famose parolacce aliene. Dura la vita dei protagonisti dei videogames anni ‘80, a quanto pare!

Gioie e dolori dell’isometria
La grafica scelta da Jeff Lee è quella isometrica, forse la più adatta a dare tridimensionalità apparente ad un ambiente bidimensionale. Questo escamotage porta però Warren Davis a operare una scelta che tuttora non è approvata da molti, ovvero di dover comandare i movimenti di Q*Bert per mezzo delle diagonali, per spostarsi tra i vari cubi. Ne risulta un metodo di comando decisamente efficace, ma forse non immediato ed a volte anche traditore. A questo si aggiunge che in alcune conversioni casalinghe la risposta ai comandi non sempre risultava immediata, ed in un gioco così frenetico ogni minima mossa può essere fatale.

Q*Bert say “@!#?@!”
La colonna sonora del titolo è composta da suoni secchi e funzionali, l’azione è scandita da effetti sonori tipici dell’epoca, tutti studiati per far immedesimare il giocatore in questo mondo surreale. Una delle cose che saltano subito all’orecchio è la vocina del protagonista. Egli parla un arcano linguaggio alieno, definito dal music designer David Thiel come “GIBBERISH”, equivalente a quello comparso dopo quasi ventanni chiamato “simlish” e parlato dai protagonisti di The Sims. L’arcade presenta un modulo di sintesi vocale grazie al quale sono digitalizzate alcune frasette aliene dette da Q*Bert, alcune anche tradotte in inglese come “Hello, i’m turned on” o il “Bye Bye” alla fine del gioco. Ovviamente il traduttore universale implementato all’interno del gioco non è però stato in grado di tradurre la bizzarra maledizione in gibberish pronunciata da Q*Bert nel momento in cui è colpito da un nemico, sostituendola con un simpatico fumetto che dice “@!#?@!”...

Le caratteristiche del coin-op
Il titolo è stato scritto in linguaggio Assembly su un computer con processore Intel 8088 e si presenta in sala giochi con un monitor da 19 pollici ed uno schermo a sviluppo verticale, in cui veniva raggiunta una risoluzione di 256x240 pixel. Una interessante trovata del cabinato è la presenza di un servo movimento meccanico che simula il rumore di una vera caduta nel momento in cui Q*Bert si gettava disperato giù dalla piramide, magari per un movimento errato del suo avventore dovuto ai comandi inusuali.

L’ultima grande star delle sale giochi
Q*Bert, al tempo della sua uscita è stato spesso considerato al pari di Pac-Man in quanto a notorietà, portando a corredo anche un notevole quantitativo di merchandise, che comprendeva pupazzi, board games, gadget di vario tipo e persino una serie televisiva animata. Ma nel 1983 anche lui è stato travolto dalla grande crisi dei videogiochi dovuto alla saturazione del mercato. Quell’anno è stato un vero e proprio spartiacque tra il periodo del successo del nostro eroe e l’inesorabile viale del tramonto. La storia però ha riconosciuto a Q*Bert un posto di primo piano e ancora oggi egli viene considerato una delle icone più riconoscibili dei videogames classici degli anni '80.

La prova del tempo
Q*Bert non passa del tutto indenne alla prova del tempo. Il suo gameplay ancora oggi è semplice ed immediato, e può dare tantissime ore di divertimento, ma il suo livello di difficoltà appare troppo alto per gli standard moderni. Il sistema di controllo basato sulle diagonali e la precisione assoluta richiesta nel calcolo del punto giusto in cui saltare scoraggiano molti avventori, anche tra i più irriducibili videogiocatori. Il titolo comunque resta fondamentale nella ludoteca minima da dover conoscere per apprezzare il retrogaming, e quindi è consigliato a tutti. Per molti la sfida proposta dal titolo è molto intrigante, e permette di far valere la propria bravura, nella filosofia tipica degli arcade degli anni ’80.

Reperibilità e conversioni casalinghe
Il gioco ha avuto all’epoca della sua uscita un successo straordinario e lo stesso autore ha dichiarato che non si sarebbe mai immaginato di vederlo ricordato dopo così tanti anni dalla sua pubblicazione originale. Moltissime sono le conversioni per le macchine da gioco dell’epoca e se la reperibilità del coin-op originale del 1982 è certamente sempre più bassa, è mediamente facile trovare il titolo in una delle tante edizioni da casa proposte sul mercato. La qualità di queste è decisamente altalenante, poiché il frenetico gameplay è settato ad un perfetto punto di equilibrio e una pur minima variazione rischia di comprometterlo in modo drastico.

Colecovision & Co
Moltissime macchine da gioco casalinghe hanno avuto all’epoca nel catalogo software una conversione di Q*Bert, gioco spesso blasonato al pari di Pac-Man. Le molto diffuse Colecovision ed Intellivision hanno entrambe il titolo, ma il gioco è presente anche su sistemi esotici come il TI/99. Molto poco fedele risulta la versione per Magnavox Odyssey 2 dove la visuale isometrica viene sostituita da piccoli piani bidimensionali che perdono del tutto il senso di profondità del titolo originale. Una buona riedizione si può trovare anche per i computer MSX.

Le conversioni Atari
Q*Bert arriva sui sistemi Atari nel 1983, ma le versioni si rivelano molto diverse. Sul 2600 abbiamo una conversione poco fedele, realizzata da Western Technologies, che per i limiti intrinsechi della macchina prevede di visualizzare un solo nemico per volta, oltre a presentare i cubi separati tra loro. Per avere un Q*Bert più simile all’originale bisogna rivolgersi al 5200 e agli Atari 8 bit, dove la mano della casa madre si fa decisamente sentire, pur nella monocromia degli sprites.

Le conversioni Commodore
Il Vic-20 non rende decisamente onore al nostro alieno preferito, con un campo di gioco piatto, sprites monocromi e anonimi che, pur apparendo tutti insieme, presentano un contorno nero senza sovrapporsi ai cubi da colorare. I commodoriani devono decisamente rivolgersi al C64 dove Gottlieb ha fatto decisamente un buon lavoro. Sprites ben disegnati con ombreggiature e particolari sono protagonisti di una conversione molto buona, con un’ottima giocabilità e una velocità di gioco ben calibrata.

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ID: 243406Le conversioni Nintendo
Q*Bert ha attraversato due generazioni di sistemi Nintendo: sul NES viene convertito dopo ben sette anni, nel 1989, a riprova di come il titolo sia ancora fresco e stimolante. La conversione per l’8 bit di Kyoto è realizzata da Gottlieb e pubblicata da Konami sotto il marchio americano dell’epoca Ultra Software, e si rivela decisamente fedele all’originale e ben realizzata. Semplicemente unica l’edizione per Game Boy del 1992 che risulta davvero giocabilissima pur proponendo un'infelice scelta grafica: il piano di gioco non viene infatti inquadrato nella sua interezza, ma con uno scrolling che segue i movimenti del protagonista. La scelta è stata fatta per avere una visualizzazione più grande dei personaggi, similmente a quanto proposto da Namco nella versione GB del suo Pac-Man, anche se il gameplay ne risulta lievemente snaturato. All’interno del gioco è inoltre presente un divertente filmato intitolato Q*Bert... The Movie! Sul SNES nello stesso anno arriva Q*Bert 3, che segue cronologicamente il seguito ufficiale Q*Bert’s Qubes (1984, Atari 2600 e Colecovision), e propone una versione rimodernata del titolo originale che include scenari psichedelici e surreali.

Q*Bert oggi
Il grande successo di Q*Bert ha fatto si che il gioco originale fosse presente su svariati sistemi, ma anche dopo il grande boom degli anni '80 il titolo non è stato dimenticato. Un interessante remake successivo a quello del SNES arriva nel 1999 su PS1, Dreamcast e PC grazie alla linea proposta da Atari di riesumazioni dei grandi classici. Il nuovo gioco propone lo stesso identico gameplay arricchito da una grafica 3D per nulla invasiva in un prodotto che, in fondo, presentava già a modo suo scenari tridimensionali. Attualmente Q*Bert è presente anche sul catalogo online di PS3 con un’ottima riedizione. Una seconda giovinezza è arrivata inoltre al titolo dal mercato mobile. Moltissime sono state infatti le conversioni per telefoni cellulari tra cui i moderni iPhone e BlackBerry, oltre a Sony Ericsson che ha stretto un accordo per avere il leggendario Q*Bert come di serie nei suoi cellulari. Da ricordare anche DJ Q Bert, un musicista americano che ha omaggiato il leggendario gioco assumendone il nome. Pur essendo oggi forse poco noto alle nuove generazioni, Q*Bert è considerato una delle icone del videogaming classico e questo non è certo un risultato da poco per un gioco nato quasi per caso all’interno di una azienda che produceva flipper.

Quel che resta della Gottlieb
Sale giochi. Un luogo sociale importantissimo nel passato e quasi scomparso nel nuovo millennio, eppure ancora oggi è possibile, imbattendosi in una di queste, ritrovare negli stessi spazi sia cabinati videoludici che flipper, macchine diverse, eppure per certi versi simili e legate tra loro. Ovviamente non poteva mancare nella produzione di flipper un omaggio all’eroico alieno, con Q*Bert’s Quest, pinball machine realizzata nel 1983. Gottlieb ha smesso la produzione di flipper nel 1996, ma le macchine realizzate sono tuttora restaurate e distribuite grazie alla Gottlieb Development LLC. Per chi invece vuole rivivere l’epopea della casa statunitense sui sistemi attuali non possiamo che consigliare il titolo Gottlieb Pinball Classics curato dalla System 3 per PSP, che permette di avere nella propria tasca i gloriosi flipper di questo grande nome. Il titolo è disponibile anche per GameCube, Xbox, PS2 e Wii.

COMMENTO FINALE


"Un gioco bizzarro, alienante eppure ipnotico. Un intero gameplay basato sul frenetico spostamento strategico da un cubo all’altro nell’impresa di colorare tutti gli elementi che compongono una piramide. L’uso artistico dell’ isometria serve a dare spessore al gioco e lo caratterizza in modo unico, rendendolo però a volte ostico nei comandi basati sulle diagonali e senza la possibilità di sparare ai nemici per espressa volontà della casa produttrice. Collocato nell’esatto punto di incontro tra maze, platform ed action, Q*Bert è un titolo unico, difficile ed integralista, entrato di diritto tra le icone videoludiche classiche, anche grazie alle imprecazioni aliene in gibberish “@!#?@!” divenute subito di culto tra gli avventori delle fumose sale giochi dell’epoca."

Fabio "Super Fabio Bros" D'Anna





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