Poco ci viene detto circa la trama, dato che non c’è una vera e propria sequenza introduttiva, cosa del resto abbastanza frequente nei giochi dell’epoca. Lo sviluppo della storia viene rivelato tramite brevi intermezzi tra un livello e l’altro. Tutto ciò che si vede all’inizio è una schermata in cui il protagonista, Strider Hiryu, affronta un’inquietante e minacciosa figura incappucciata, il Grandmaster Meio, un essere alieno a capo d’un imponente esercito che ha preso il controllo del pianeta Terra. La storia si svolge nel 2048 e nostro compito è impersonare il più giovane dei guerrieri Strider per liberare il mondo dalla dittatura di Meio.
La presenza nell’ambientazione di numerosi elementi che rimandano ai paesi dell’area comunista (minareti, moschee, nemici vestiti come soldati dell’Armata Rossa, scritte in cirillico, simboli e stemmi simili a quelli bolscevichi) suscitò numerose critiche, quando il gioco fu pubblicato, per una possibile identificazione denigratoria dell’Unione Sovietica con l’esercito invasore e il malvagio potere rappresentato da Meio. Se a quasi vent’anni di distanza fa sorridere pensare allo sguardo grottesco e un po’ naif con cui il mondo occidentale ritraeva i paesi comunisti nel periodo finale della Guerra Fredda attraverso i mezzi di comunicazione di massa (il cinema in primis, si pensi ad esempio a film di grande diffusione popolare quali “Rocky IV” o “Rambo III”) e che si riflette anche nei videogiochi dell’epoca seppur di produzione nipponica, è interessante notare, senza voler entrare in complessi dibattiti socio-politici, come l’anno d’uscita di “Strider” coincida con quello della caduta del Muro di Berlino, quasi si potessero ravvisare nel gioco e nella sua struttura una trasposizione di ciò che già da tempo si respirava a livello internazionale e una lettura metaforica (probabilmente inconscia) dello sgretolamento di quell’utopia di fronte al modello capitalista, la cui superiorità resta tuttavia dubbia.
Il lavoro fatto sotto il profilo grafico è di tutto rispetto, secondo la migliore tradizione Capcom: fondali e sprite grandi (alcuni enormi) e ben animati, nessun rallentamento, gradevole scelta di colori da una ricca palette, parallasse assolutamente fluido che s’attesta su tre-quattro livelli di scrolling e così via. Il character design è di buona fattura e quasi sempre molto originale: alla massa indistinta delle armate nemiche si contrappone la netta caratterizzazione del protagonista e dei boss di metà o fine livello. Tra questi ultimi sono sicuramente degni di menzione il serpente meccanico al termine del primo livello (armato di falce e martello e formato dalla fusione dei corpi dei membri del soviet…), un gorilla robotico gigante nel secondo e un dinosauro robotico alla fine del quarto.
Il level design è accurato, ricco di dettagli e piacevole alla vista, con un ottimo uso di luci e ombre in grado di conferire tridimensionalità agli elementi presenti. I livelli, in tutto cinque, sono sfruttati e percorsi tanto nel loro sviluppo orizzontale quanto in quello verticale, facendo affidamento sulle particolari abilità del personaggio principale. Le ambientazioni riproducono aree realmente esistenti e facilmente riconoscibili, rilette in chiave futuristica o fantasiosa: il Kafazu, ispirato, come s’è detto, all’aspetto dei paesi bolscevichi e dietro il quale si celerebbe il Kazakhistan (così andrebbero tradotti i caratteri in cirillico che compaiono all’inizio del primo livello); le lande gelate della Siberia; un’avveniristica fortezza volante; la foresta tropicale; la base spaziale del Grandmaster Meio.
Sotto il profilo sonoro nulla di eclatante da segnalare, con musiche e motivetti per lo più orecchiabili, mentre preferisco sorvolare sulle decantate voci campionate, a mio avviso piuttosto fastidiose. Il procedere nell’avventura è scandito in realtà soprattutto dal suono metallico della lama energetica di Hiryu, che spicca nettamente sugli altri effetti ed è dotato d’un certo fascino: alla mente, infatti, tornano subito i grandi film di cappa e spada nipponici con protagonisti i samurai e il loro rigido codice bushido.
Come s’è già accennato, l’aspetto più interessante e innovativo del gioco è rappresentato dal suo particolare gameplay. L’azione veloce e frenetica, le abilità ninja del protagonista costituite da scivolate, volteggi acrobatici in aria, possibilità di aggrapparsi a qualunque parete o piattaforma, sono elementi fino ad allora mai sfruttati che hanno fatto scuola e che rendono “Strider” un prodotto unico per la sua epoca. Buona parte del divertimento deriva proprio dal tempo speso a raffinare il controllo sull’eroe, così da raggiungere una perfezione quasi zen, tipica della cultura nipponica, nell’esecuzione dei movimenti dello sprite principale. Ci troveremo in tal modo a creare lunghe sequenze del tipo “colpisci-salta-schiva-volteggia-colpisci-scivola-salta-aggrappati-scala-salta-volteggia-colpisci…”, rimanendo estasiati dalla grazia geometrica delle nostre evoluzioni. Ciò non toglie, comunque, che il gioco si possa affrontare anche secondo un approccio più rozzo e immediato.
L’arma del protagonista è a sua volta dotata d’un particolare appeal, dato che si tratta d’una potente lama d’energia capace di tagliare qualunque cosa (compresi i soldati di Meio, che vengono letteralmente affettati). Colpendo determinati robot è inoltre possibile arricchire il nostro arsenale di alcuni pod meccanici, che fluttuano attorno a Hiryu e sparano ai nemici più prossimi. A seconda della combinazione con alcune particolari icone, si possono ottenere altri due tipi di pod: una pantera robotica, che attacca automaticamente ogni avversario, ma scompare appena il protagonista viene colpito; un falco robotico, che volteggia sopra Hiryu distruggendo i nemici, ma dura solo una decina di secondi. Non mancano ulteriori bonus, sotto forma d’ideogrammi che possiamo raccogliere, quali moduli di recupero o allungamento della barra energetica, di potenziamento della lama, d’invincibilità e di vita extra.
La giocabilità è sempre ben calibrata, facendo di “Strider” un prodotto né troppo facile né impossibile. Non mancano, ovviamente, punti più ostici che richiedono una certa abilità per essere superati, ma il tutto resta sempre su standard decisamente fruibili da un vasto pubblico. Il termine più adatto per definire questo gioco è “fluidità”: vero e proprio tratto distintivo, la possiamo infatti riscontrare a più livelli, tanto nel gameplay quanto nella grafica, nelle animazioni, nel parallasse e così via. Ciò influisce in senso positivo anche sulla longevità, cosicché, anche una volta portata a termine l’avventura (di per sé non molto lunga), ci ritroveremo ad affrontarla nuovamente o per quel suddetto “gusto zen” di perfezionamento o per cercare punti e passaggi nascosti o, infine, per il semplice piacere di rigiocare un prodotto d’altissimo livello, ancora oggi capace d’insegnare qualcosa ai moderni videogiochi in termini d’immediatezza, appeal, divertimento, qualità e ispirazione.
Il successo mondiale ottenuto determinò la conversione di “Strider” per quasi tutti i sistemi domestici a 8 e 16 bit, con risultati non sempre esaltanti. Degne di nota sono le belle versioni per Sharp X68000, PC-Engine e Sega Megadrive. Nei primissimi anni ‘90 U.S. Gold, dopo aver acquistato i diritti di sfruttamento del gioco, pubblicò per vari formati casalinghi un seguito non ufficiale di pessima qualità e privo di spina dorsale (“Strider II – Strider Returns”), che poco o nulla manteneva del fascino dell’originale. Il vero seguito fu realizzato da Capcom in versione arcade e Playstation solo nel 1999: un misto di grafica 2D e 3D, che manteneva intatto il concept del primo “Strider”, senza però riuscire a raggiungere le stesse vette di dieci anni prima nonostante il restyling audio-visivo. Da non dimenticare, inoltre, il buon numero di cloni o giochi ispirati a un concept analogo, nati sulla scia della fama guadagnata da “Strider”. A tal proposito è da ricordare che nel 1996 la Mitchell pubblicò “Osman”, un gioco arcade molto difficile da reperire e molto bello (a detta di chi ha avuto la fortuna di provarlo), dalle forti somiglianze con il titolo Capcom sia dal punto di vista grafico che concettuale, cosa questa comprensibile visto che il game designer è Isuke, il medesimo del primo “Strider”.
Synapsy
Altre immagini:
Fu una grandissima delusione (grafica scadente, che quando il personaggio saltava c'erano solo 3 frame di animazione, e gioco facilissimo, finito alla seconda o terza partita: poi potevi continuare, ma era così facile che potevi andare avanti all'infinito cercando di infrangere qualsiasi record di punteggio, perchè era solo questione di tempo per raggiungerlo...) e mi sono sempre chiesto (fino a che non lo provai su MAME) se davvero l'originale era così scadente. Naturalmente scoprii una differenza abissale (anche dalla versione Megadrive) e non ho mai capito, all'epoca, le recensioni su amiga con che criterio erano state fatte.
Comunque io ci ho rigiocato su PSone ,era in ragalo in CD nella confezione di Strider 2 ,che non ha nulla a che vedere con il primo capitolo.
Quando la Capcom sapeva fare giochi... che bei tempi.