Soprattutto in vacanza, quando andavo in qualche posto nuovo e puntualmente testavo le sale giochi del luogo, era uno dei titoli che mi premeva maggiormente trovare, nonostante proprio a Mexico 86 siano legati alcuni dei ricordi da videogiocatore più frustranti di sempre... semplicemente, i primi tempi ero una schiappa. Capitava di sorbirsi partite di ragazzi troppo più bravi di me (ma anche ragazze, nel qual caso l'umiliazione era doppia... maschilista? Ma no, ero solo un ragazzino! Oggi l'umiliazione sarebbe tripla...) capaci di segnare marcature spettacolari, in rovesciata, di tacco al volo, di testa in tuffo, poi arrivavo io e... bhè, vincevo la prima partita con un punteggio altisonante (suscitando elevato interesse negli spettatori di turno) salvo poi perdere inevitabilmente la seconda con la conseguente delusione generale.
D'altronde, il fatto che scegliessi quasi esclusivamente la Germania come team da comandare (la squadra dotata del miglior tiro dalla distanza) la diceva lunga sulla tattica che utilizzassi... e a poco serviva l'inclusione della compagine italiana tra la rosa delle squadre selezionabili (tra l'altro, con un'assurda casacca gialla!) il patriottismo andava a farsi benedire se in ballo c'erano 200 sudatissime lire! Capitava sovente anche di giocarci in sala con un pulsante rotto, magari proprio quello del tiro (un classico, coi gestori che semplicemente se ne sbattevano di offrire un servizio decente a noi poveri appassionati) e di essere costretti ad utilizzare solo il pallonetto... e così si sperimentavano (costretti dalla necessità) nuove strategie.
Ho sempre associato Mexico '86 ad una sorta di trasposizone videoludica di Captain Tsubasa (ma si, Holly e Benji!) il mitico cartone giapponese in cui i contendenti impiegavano quattro puntate ad oltrepassare il centrocampo e arrivare nell'area avversaria... ricordate? Per carità, niente super tiri infuocati che distruggono rete e pallone, mi riferisco alla grafica, dal sapore vagamente anime... la caratterizzazione era troppo fuori... c'erano questi omini con dei capoccioni super deformed, pronti a lanciarsi in animazioni divertentissime (tra cui il segno della croce nel caso di rimonta o di gol a tempo quasi scaduto e il portiere, con tanto di cappellino, che prendeva a cazzotti il terreno per la disperazione nel caso di rete subita) l'arbitro con quell'espressione severa e accigliata che alla fine faceva troppo ridere e poi le mitiche ragazze pon pon che ci incitavano tra una pausa e l'altra, capaci anche di coreografie spettacolari (diciamo così...) in cui componevano coi loro corpi il nome della squadra di turno.
Lo svolgimento del gioco era a scorrimento orizzontale, accompagnato da una musichetta ripetitiva ma perfetta e dal rumore incessante dei tacchetti sul campo... o almeno presuppongo fosse quello! Riscoprendolo oggi, bisognerà per forza di cose dimenticarsi della perfezione dei controlli dei titoli moderni, che sfruttano in lungo e in largo ogni tasto del pad (qui ci sono appena due bottoni, con cui è comunque possibile ottenere un elevato numero di azioni) entrare nell'ottica del periodo, adeguarsi ad uno stile di gioco che di certo ha tante lacune (vedasi l'impossibilità di scegliere il giocatore con cui inseguire il portatore di palla, compito assegnato dalla CPU in automatico) eppure alla fine, nonostante la frustrazione di non poter materialmente imbastire tutte le triangolazioni che si vogliono, ci si diverte lo stesso, rimanendo catturati dal buon ritmo e dalla sua semplicità. Vero è che il titolo incoraggi (forse troppo) l'azione solitaria ma con un pò di pratica, si può ricavarne una certa soddisfazione, segnando in modo spettacolare e riuscendoci addirittura col portiere. Senza dimenticare la geniale idea di permettere a due giocatori di far parte della stessa squadra per sfidare, insieme, la CPU.
Per questo e altri motivi, Mexico '86 ha avuto il merito di dare la birra a titoli calcistici apparsi anche ad anni di distanza. Oggi le cose sono ben diverse, di titoli dedicati allo sport più bello del mondo (ovviamente dopo il curling!) ne sono usciti e di molto validi, ciononostante ho la sensazione che nella rincorsa alla simulazione perfetta, troppo spesso ci si dimentichi di cosa sia davvero un videogioco, stupendosi più della sua aderenza alla realtà e non del fatto che si provi o meno soddisfazione a giocarci; in tal senso il titolo Taito ha davvero ancora tanto da insegnare.
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